Voci da mondi diversi. Asia
la Storia nel romanzo
FRESCO DI LETTURA
Amitav Ghosh,
“Diluvio di fuoco”
Ed.
Neri Pozza, trad. A. Nadotti e N. Gobetti, pagg. 703, Euro 15,73
E’ arrivata al
capitolo conclusivo, la grandiosa
trilogia di Amitav Ghosh che era iniziata con “Un mare di papaveri” a cui
aveva fatto seguito “Il fiume dell’oppio” per terminare ora con “Diluvio di fuoco”. Ed una scena finale apocalittica illumina di
sinistri bagliori tutta l’epopea, una duplice furibonda battaglia di uomini e
agenti atmosferici. Si scatena il primo
tifone della stagione monsonica sulla costa meridionale della Cina, provoca
morte e distruzione sulla terraferma, affonda una delle navi britanniche,
mentre gli inglesi sferrano un attacco
alle fortificazioni di Canton e i cinesi tentano di contrattaccare lanciando barche infuocate contro i vascelli nemici.
E’ questo ‘diluvio di fuoco’ che resta impresso
nei nostri occhi, con il dubbio se una volontà superiore, o il destino, voglia
spazzare via entrambe le forze combattenti e riportare indietro le lancette del
tempo a prima che l’avidità dei colonialisti incoraggiasse la coltivazione dei
papaveri da oppio e ne imponesse un commercio fortemente redditizio rendendo però
schiavi della droga un enorme numero di cinesi.
“Diluvio di fuoco” raccoglie le
fila delle narrazioni dei due precedenti romanzi, ce ne fa ritrovare la maggior
parte dei personaggi e seguire le loro avventure, l’ascesa di alcuni e la
finale caduta di altri, e tutte queste singole storie confluiscono in una
storia corale che è la Storia della
prima guerra dell’oppio incominciata ufficialmente quando l’imperatore
Daoguang, nel gennaio del 1840,
vietò ogni commercio e terminata nel 1842
con il trattato di Nanchino, catastrofico e umiliante per i cinesi. Non
solo erano obbligati a pagare un’enorme indennità per l’oppio precedentemente
sequestrato, ma dovevano aprire cinque porti al commercio e cedere l’isola di Hong Kong alla corona
inglese. Hong Kong sarebbe tornata cinese nel 1997 ma il suo futuro, che è il
suo presente di adesso, fu disegnato allora: nelle ultime pagine del libro ci
si accaparrano i lotti in vendita nella città-stato che sarà il luogo dove l’Oriente incontra l’Occidente.
Il racconto di Amitav
Ghosh passa da un personaggio all’altro, da uno scenario di guerra ad un
incontro amoroso, da scaramucce dell’eterna lotta di seduzione alla rivelazione
di segreti che hanno sempre una componente amorosa- è inutile nascondere la
realtà dei molti uomini che, lontani da casa per lunghi periodi, si sono fatti
una seconda famiglia (causando dolore e umiliazione nei figli sangue-misto), così
come un’opportuna cecità impedisce ai mariti di accorgersi delle tresche delle
mogli che spesso si sono sposate per interesse. Se sentiamo la mancanza, nel
romanzo di Ghosh, di un approfondimento dei personaggi, di quel ‘non so che’
che li rende indimenticabili, abbonda invece una straordinaria varietà di vicende e di registri narrativi.
Di tutta l’umanità
(inglesi, cinesi, indiani) che popola le pagine del romanzo, una donna emerge come personaggio da
ammirare. E’ Shireen, l’indiana di religione parsi rimasta vedova del
commerciante che forse si è ucciso perché ha perso tutto. La vita di Shireen è
sconvolta dalla morte del marito. Lei, che non è mai uscita da sola di casa,
sfida i fratelli e si imbarca per Hong Kong, per andare sulla tomba del marito
e per reclamare quanto le è dovuto, se è vero che ci sarà un risarcimento per
l’oppio sequestrato. Lei, che ha sempre indossato il sari, si fa confezionare
abiti europei per non sfigurare. Ha sempre adorato il marito, ma riesce ad
affrontare la notizia che lui aveva avuto una relazione con una donna cinese da
cui era nato un figlio. Di più, vuole conoscerlo, lo accetta perché figlio
dell’uomo che ha amato. Di più. E’ capace di staccarsi dal passato ed accettare
la nuova possibilità di amore che la vita le offre. E così Shireen diventa
l’esempio di come si debba affrontare il moto della Storia- ricominciando da capo, volgendo in
proprio favore quello che appariva come una disgrazia, andando avanti. Come il veliero che rattoppa le vele e le
spiega di nuovo nel vento dopo il tifone.
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