Voci da mondi diversi. Europa dell'Est
il libro ritrovato
Gabriela
Adameşteanu, “Verrà il giorno”
Ed. cavallo di ferro, trad. Celestina Fanella, pagg. 383, Euro
18,00
Titolo originale: Drumul egal al fiecărei zile
Di
certo, con un dossier politico familiare pessimo come il mio, avevo le carte in
regola per essere respinta. Quasi quasi lo speravo, e mi ripromettevo di
cambiare città, di andare a lavorare in fabbrica, come avevo letto su tanti
libri e sui giornali. Non avrei più abitato con lo zio Ion e con la mamma e non
avrei più pensato che, facendomi bocciare all’esame di ammissione, avrei fatto
di loro lo zimbello della città. Ma soprattutto ero certa che altrove avrei
incontrato imprevisti in quantità e le mie giornate non sarebbero più annegate,
come allora, nella monotonia.
“Chi è Letiţia
Branea?”- è
la domanda che fa il portiere del pensionato studentesco all’inizio del libro,
accendendo a tentoni la luce tra i cinque letti della camerata. C’è una
telefonata urgente per la ragazza che si chiama Letiţia Branea. La stessa
domanda viene ripetuta duecento pagine più avanti, raccogliendo il filo del
racconto che si è arrotolato all’indietro nel tempo, senza dirci chi o che cosa
richiedesse la presenza di Letiţia a casa. E ancora una volta verrà chiesto, “Chi
è Letiţia Branea”, alla fine del romanzo, dopo altre duecento pagine: questa
volta c’è qualcuno che aspetta Letiţia dabbasso. Una domanda che non solo
scansiona le tre parti del libro- la
vita di Letiţia bambina e adolescente in casa con la mamma e lo zio, l’arrivo a Bucarest e i giorni
dell’università, l’amore per un
giovane professore-, ma assume un significato esistenziale: è Letiţia stessa che si indaga, alla
ricerca di se stessa, di chi vuole essere, di che cosa chiede dalla vita.
Il titolo originale del
romanzo suona ben diverso da quello che è stato adottato per le traduzioni in
italiano e in francese. Potremmo renderlo come “Il percorso uguale di ogni
giorno” ed infatti la monotonia di
un’esistenza sempre uguale è quella che dà un’aria di soffocante claustrofobia a tutto il romanzo, ma soprattutto alla
prima parte. C’è il soffoco di vivere in una piccola città, il soffoco di
abitare in tre in una sola stanza, il soffoco della pesante coltre del regime che ha forzato la famiglia di Letiţia in
questa situazione e che li obbliga a muoversi, per così dire, in punta di
piedi, a bisbigliare, a controllarsi. C’è
paura. Paura che viene da passate esperienze: il padre di Letiţia è stato
arrestato, non si sa in che prigione si trovi, non si sa se sia ai lavori
forzati al Canale; sua madre si è separata da lui prima dell’arresto- una
misura previdenziale perché non fosse colpita l’intera famiglia; lo zio Ion è
stato privato della cattedra universitaria (sapremo poi il perché) e relegato
ad insegnare lontano dalla capitale. Letiţia non si fa illusioni. Con una
famiglia con simili trascorsi politici, è impossibile che venga ammessa
all’università. E invece ce la farà. Dovrà sostenere un esame più duro, ma
nella seconda parte del libro Letiţia è
approdata a Bucarest, la città agognata dove tutto potrebbe cambiare, dove
qualcosa potrebbe accadere per vivacizzare la sua esistenza grigia.
università di Bucarest |
Cambia qualcosa? Ben
poco. Al paese Letiţia aveva un’amica a cui confidare le sue pene d’amore; a
Bucarest le chiacchiere delle ragazze con cui condivide la stanza sono sempre
le stesse: l’amore, i ragazzi, la domanda a cui non c’è risposta e che è la
stessa di tutte le ragazze dell’epoca ante-pillola, “si fa? non si fa? quando
si decide di farlo?”, con lo spettro di un aborto (proibito in Romania, come
d’altronde in Italia) se si aveva la sfortuna di restare incinta. La figura dello zio Ion domina questa seconda
parte del libro, così come quella di Petru
Arcan, l’ex studente dello zio diventato professore, è al centro della
terza parte. Una contrapposta all’altra:
lo zio integerrimo, conciliante tanto da sembrare passivo; un poco ambiguo
e opportunista Petru Arcan che sfrutterà a suo nome gli scritti che lo zio non
è riuscito a pubblicare. Letiţia stima lo zio e, nello stesso tempo, si
rammarica perché le pare di avere appreso da lui un’apatica rassegnazione.
Così, quando si alza in piedi a parlare in difesa di un compagno di studi,
nella terza parte, è una vittoria per lei- ha sconfitto la paura che le è stata
instillata nel soffoco della minuscola abitazione. Quando smette di guardare
con ammirazione Petru Arcan, ne riconosce i limiti, ne indovina le origini,
così simili alle sue, Letiţia è
diventata adulta. E’ venuto il giorno che attendeva (il bel romanzo della Adameşteanu potrebbe anche intitolarsi “L’attesa”), in cui guardare se stessa,
il passato della sua famiglia, la nazione in cui vive, senza paura.
In maniera più sottile ancora che negli
altri suoi romanzi, Gabriela Adameşteanu intreccia la storia privata con quella
pubblica, di modo che è impossibile non sentire che il fardello del ‘diventare
grande’- già pesante per ogni adolescente- è più problematico per la sua
giovane protagonista, sorvegliata
dall’occhio del Grande Fratello che lampeggia (ben tre volte, nel libro,
come la domanda “Chi è Letiţia Branea?”) con
la richiesta imperativa: ‘OGNI GIORNO LEGGETE SCÂNTEIA’.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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