venerdì 1 gennaio 2016

Junot Díaz, “La breve favolosa vita di Oscar Wao” ed. 2009

                                              Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
             il libro dimenticato
            FRESCO DI LETTURA

Junot Díaz, “La breve favolosa vita di Oscar Wao”
Ed. Mondadori, Trad. Silvia Pareschi, pagg 334, Euro 17,00  

  
       Come ho potuto dimenticare per anni questo libro sullo scaffale? “La breve favolosa vita di Oscar Wao” di Junot Diaz, premio Pulitzer 2009, è un romanzo molto bello, di quelli di cui non si può dimenticare né il protagonista né le circostanze della sua vita- fittizie perché si trovano dentro un romanzo, ma rispecchianti una realtà storica comprovata.
     Che il titolo ci dica che la vita di Oscar Wao è stata breve, è un’anticipazione del finale drammatico, anche se, a ben vedere, è tutto il libro che è drammatico pur con una spolverata di comicità grottesca e ironica. Perché la vita di Oscar Wao è tutt’altro che favolosa. E’ penosa. Oscar ci viene subito presentato (il narratore rivelerà la sua identità solo alla fine) come un nerd, uno sfigato, emarginato, secchione, appassionato del genere fantasy. Un ciccione la cui carriera amorosa si è fermata all’età di scuola elementare. Primo strato del romanzo: riuscirà il nostro eroe/antieroe a portarsi a letto una ragazza prima della fine del libro? Dalle premesse sembrerebbe proprio di no, ma non si può mai dire.

    La famiglia di Oscar viene da Santo Domingo- del padre non si parla, ci sono una madre (con tumore e una brutta cicatrice sulla schiena) e una sorella molto bella e molto intelligente che andrà lontano. C’è poi anche una nonna che vive ancora a Santo Domingo (e buona parte delle vicende, del passato, ma anche del presente, si svolge sull’isola caraibica). Secondo strato del romanzo: una saga di famiglia attraverso tre generazioni, dal nonno, bravissimo chirurgo a Santo Domingo, a Oscar, nato (come sua sorella Lola) negli Stati Uniti.
    Il terzo strato del romanzo (con una narrativa che si sposta tra passato e presente) è indissolubilmente intrecciato con il secondo: quello che accade alla famiglia De Leon non potrebbe accadere in alcun altro luogo che a Santo Domingo o forse sì, in un altro paese che abbia per dittatore un gemello di Trujillo, el Jefe, la Faccia di Cazzo, l’uomo che credeva di essere il signore della vita e della morte, immorale, crudele, lussurioso, spietato. La storia della famiglia di Oscar, caduta in disgrazia quando el Jefe aveva messo gli occhi sulla bella figlia primogenita del nonno chirurgo e questi aveva osato negargliela, è un susseguirsi di fatti tragici, di morti, imprigionamenti, torture, follia.
Trujillo
A Santo Domingo si dice che è opera del Fukù, di una maledizione. Ma questo è quello che si dice sempre quando non si vuole puntare il dito sul vero responsabile. Il Fukù non si era accontentato di spazzare via il nonno (paradossalmente era stato quello che aveva vissuto più a lungo, in prigione, pur se in condizioni disumane), la nonna e le due figlie (morte per un incidente? poco credibile), si era accanito anche sulla bimba nata quando tutto era già stato perso. Finché una forza positiva opposta al Fukù aveva messo la Inca, la cugina del dottore, la abuela di Oscar, sulle sue tracce. E l’aveva salvata, una prima volta.

     Junot Diaz riesce ad elaborare il materiale di questo ricchissimo romanzo con uno stile sorprendente, moderno, sferzante, dove l’ironia allevia la tragedia, il grottesco riduce il pathos. La voce del narratore è in sintonia con il personaggio di Oscar, ne usa le fissazioni, i riferimenti ai suoi testi di fantascienza preferiti (c’è un glossario, alla fine), nonché al glorioso Tolkien la cui trilogia è il modello supremo per la lotta sempiterna tra le forze del Bene e quelle del Male. Il nostro Oscar (Wao è la storpiatura di Wilde, il grande Oscar a cui il nostro viene paragonato per la sua mole) potrebbe essere uno Hobbit (lasciate perdere le dimensioni) che difende il Bene dell’Amore contro Sauron, così come gli scagnozzi ghignanti di Trujillo potrebbero essere gli Orchi o i Nazgul. Intrecciando la realtà della Storia al Mito, Junot Diaz trasforma l’antieroe Oscar in un vero e proprio eroe e la storia di un ridicolo nerd in un’epopea.

Un ultimo suggerimento: non fate l’errore di ‘saltare’ le note a pié pagina, potrebbero essere gli appunti per un secondo romanzo.


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