Voci da mondi diversi. America Latina
cento sfumature di giallo
il libro dimenticato
Santiago Roncagliolo, “I
delitti della settimana santa”
Ed.
Garzanti, trad. Irina Bajini, pagg. 275, Euro 17,60
Ayacucho,
Perù, anno 2000. All’inizio di marzo- è appena finito il carnevale- un
contadino scopre il cadavere di un uomo
carbonizzato. Non c’è dubbio che sia stato ucciso e in maniera barbara. Gli
è stato amputato un braccio e gli hanno inciso in fronte una grossa croce. E’
il primo di una serie di morti, tutti uccisi con estrema violenza, tutti
lasciati senza un arto. Il culmine dei delitti avverrà durante la settimana
santa, nei giorni in cui Ayacucho trabocca di turisti arrivati per assistere
alle cerimonie religiose e alla famosa processione.
“I delitti della settimana santa” (Abril Rojo il titolo originale) dello
scrittore peruviano Santiago Roncagliolo è di certo un thriller: c’è un
assassino (o più di uno) che opera come un killer seriale, c’è l’enigma della
sua identità da risolvere, c’è un’indagine. Ecco, l’indagine: questo è il punto
da cui iniziano le differenze con i gialli a cui siamo abituati. Capiamo subito
che c’è qualcosa di diverso, anche se non ne afferriamo la portata.
Il pubblico
ministero, Felix Chacaltana, viene
da Lima ma è originario di Ayacucho. E’ un uomo integro, al punto da apparire ridicolmente rigido: crede nella Legge,
ha fiducia nelle istituzioni, pensa che a denuncia seguano accertamenti e
incriminazioni. E invece niente di tutto
questo. Chiede di parlare con qualcuno e questi gli si nega con dei
pretesti chiarissimi che però Chacaltana non capisce; stende rapporti che
nessuno guarda e che, alla fine, è costretto a modificare; parla di un
rigurgito di terrorismo e viene messo a tacere. Soprattutto Chacaltana non
capisce quello che rende il romanzo di Roncagliolo diverso e interessante per
noi lettori- il significato politico
del momento e di tutte le manovre che vengono fatte per nascondere quello che
succede adesso ad Ayacucho dove negli anni ‘80 infuriava la guerra tra comunisti e forze del Governo. Il 2000 è anno di
elezioni in Perù.
Il presidente
dittatore Fujimori non accetta la possibilità di non venire rieletto. E
Chacaltana, l’ingenuo Candide che protesta per le irregolarità, che pensa ci sia
qualche errore non voluto, che fa spazientire chi gli sta vicino, ci fa
sorridere per la sua ottusa stupidità.
Nessuno deve tirare fuori la guerriglia (è finita, non vuole capirlo,
Chacaltana?), nessuno deve parlare di
Sendero Luminoso, l’organizzazione guerrigliera peruviana di ispirazione
maoista (anche Sendero Luminoso non c’è più, non deve esserci, è chiaro,
Chacaltana?), nessuno deve parlare degli indigeni Quechua e dei loro problemi.
E l’ometto Felix Chacaltana è costretto
a cambiare per adeguarsi. Il nome Felix non si addice più affatto all’uomo
tormentato che diventa, che rivede il suo passato e la bugia che si è sempre
raccontato quando parlava con la madre morta come se fosse ancora accanto a
lui, che, a mano a mano che si scoperchiano le fosse comuni, che altri orrori e
altri tradimenti vengono rivelati, precipita
nell’Inferno da cui il Cristo che viene portato in processione per le
strade ha salvato gli uomini.
Il finale ‘giallo’ non è soddisfacente, ma
il pregio del romanzo di Roncagliolo (bello il titolo originale in cui il
colore rosso non è solo quello del sangue) è nell’averci regalato, con un
‘incartamento’ piacevole, un frammento di storia
attuale del Perù, risvegliando ricordi di articoli di giornale letti a suo
tempo (sempre troppo sbrigativi) sulla guerriglia e su Sendero Luminoso e sui
metodi del dittatore Fujimori.
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