Voci da mondi diversi. Australia
il libro dimenticato
FRESCO DI LETTURA
Richard Flanagan, “Wanting”
Ed. Atlantic Books, pagg. 279, formato
Kindle, Euro 4,99
Richard
Flanagan, “Solo per desiderio”
Ed.
Frassinelli, trad. Giagheddu, pagg. 239, Euro 18,00
Che verbo ricco di
significato, quello che dà il titolo al romanzo “Wanting” di Richard Flanagan.
Ho visto che in italiano è stato cambiato in “Solo per desiderio”. To want vuol dire “volere”, ma to be wanting vuol dire sia aver bisogno di qualcosa sia mancare di
qualcosa, il che riconduce a volere perché quel qualcosa ci è necessario ma
pure ad una accezione negativa di essere privo
di una qualità, ad esempio. Come della padronanza di sé e dei propri
istinti. O di altruismo e generosità. Richard Flanagan esplora questo tema con
grande bravura in “Wanting” lungo due filoni narrativi esilmente collegati-
quasi per un pretesto- da uno dei personaggi.
1841. Terra di van Diemen, oggi conosciuta come Tasmania, all’epoca la maggiore colonia
penale britannica. Sir John Franklin,
Governatore dell’isola, acconsente al desiderio della moglie, di adottare una
piccola aborigena: sarà un esperimento
per dimostrare l’influenza benefica della civiltà sui selvaggi. Mathinna è una bimba deliziosa. Ha
sette anni, sembra un folletto. E’ incantevole quando danza con l’abitino rosso
che le hanno regalato. Troppo incantevole. Sir John ne è affascinato. Richard
Flanagan non dice una parola di troppo. Sta al lettore indovinare quello che
Flanagan nasconde, non suggerisce neppure, ci lascia indovinare dalle
conseguenze il motivo di quello che succede. Mathinna viene dapprima mandata
all’orfanotrofio con il pretesto che i Franklin devono tornare in Inghilterra e
lei sarebbe una disadattata laggiù. In realtà ormai è una disadattata ovunque, anche nel paradiso della sua prima
infanzia, tra i membri della sua tribù ormai decimata. La fine di Mathinna è
talmente dolorosa che è un bene che io non possa parlarne. L’esperimento è
fallito, ma perché? Perché i selvaggi resteranno sempre tali, malgrado ogni
sforzo? O perché c’è un istinto
selvaggio in ogni uomo, anche se lo si vuol negare?
Sir John Franklin era
anche un ufficiale della Royal Navy e, in quanto tale, un esploratore artico.
Nel 1845 partì con due navi alla ricerca del passaggio a Nord-Ovest in quella
che doveva essere la sua ultima spedizione. Non fece ritorno, intrappolato tra
i ghiacci. Nel 1854 la sua vedova si
rivolge a Charles Dickens, perché la aiuti- con un dramma che il più
famoso scrittore del momento metterà in scena- a riabilitare la figura del
marito, sospettato di cannibalismo.
I due filoni narrativi, il cui legame finora
ci era oscuro, si riuniscono. Avevamo letto della solitudine di Dickens
infelicemente sposato ad una donna con cui ha solo i figli in comune. Avevamo
letto della sua irrequietezza che adesso si placa nell’infatuazione- che per lui è amore- per una giovane attrice
della compagnia. Anche Dickens, come già Franklin, cede ad una pulsione selvaggia. Entrambi vogliono una donna,
entrambi hanno bisogno di un legame che soddisfi il loro desiderio, entrambi mancano di fermezza di carattere. “Non riusciva più a comandare il suo cuore
ribelle. E lui, un uomo che aveva passato la vita credendo che il cedere al
desiderio fosse proprio dell’uomo selvaggio, capì che non poteva più negare il
desiderio.” La scelta delle parole in
questo finale è tutto e la traduzione non può renderle appieno. Perché si parla
di discipline un undisciplined heart e con Mathinna era stato fatto il tentativo di
‘disciplinarla’, si parla del cedere al desiderio come contrassegno del
selvaggio e già Franklin si era messo sullo stesso piano dei selvaggi, si
termina con he could no longer deny
wanting e quel ‘wanting’ è desiderio
ma è anche una falla interiore, una grave mancanza. Chi sono i selvaggi, in
definitiva?
Charles Dickens |
Da uno scrittore
australiano un romanzo che è una
condanna del colonialismo e una potente difesa degli aborigeni.
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