Voci da mondi diversi. Medio Oriente
il libro dimenticato
Yashar Kemal, “Memed il falco”
Ed.
Bur, trad. Antonella Passaro, pagg. 447, Euro 11,05. E-book Euro 6,99
E’ stata Esmahan Aykol, quando la incontrai
a Istanbul per intervistarla nel 2013, a suggerirmi di leggere “Memed il falco”
di Yashar Kemal, lo scrittore turco che,
secondo lei, meriterebbe il premio
Nobel. Lo avevo comperato immediatamente (che meraviglia, poter acquistare
un libro con un click da una stanza d’albergo a Istanbul) e però il libro era
rimasto in attesa, sullo scaffale del mio tablet. Il momento di leggerlo è
arrivato solo ora, per il solito motivo arcano che ci fa scegliere un libro
piuttosto che un altro.
“Memed il falco” ci porta in un mondo lontano e in un tempo fuori dal
tempo, in una regione brulla della Turchia dove i campi sono ricoperti da
cardi spinosi che rendono difficile e penosa l’aratura, il latifondismo fa sì
che i due terzi del raccolto vadano ad un
solo padrone, il temuto Aga Abdi che si arroga il diritto di vita e di
morte sui contadini dei villaggi. Il tempo non è mai chiaramente definito,
parrebbe essere agli inizi del secolo scorso, ma poco importa perché la storia
di Memed- amore, ribellione, vendetta,
morte- è vecchia come il mondo e in ogni angolo del mondo si ripresenta con
varianti di colore e cultura locali.
C’è
un antefatto alla vicenda- Memed ha solo undici anni quando fugge dal suo
villaggio perché non sopporta più le
angherie dell’Aga. Ha i piedi e le gambe piagati dai graffi dei cardi,
pensa di essere andato lontano e invece c’è solo una montagna tra la casa dove
ha lasciato la madre vedova e quella dove viene accolto con generosa ospitalità
da un contadino. E’ la nostalgia che porta in seguito Memed a farsi riconoscere
da un uomo che- lo sa benissimo- non sarà capace di tacere e guiderà l’Aga sulle
sue tracce. E’ fatta: il rancore del padrone che non tollera alcuna
insubordinazione durerà per sempre. L’Aga
fa pagar cara la fuga a Memed e a sua madre, li riduce alla fame. Qualche
anno dopo Memed dichiara il suo amore a
Hatçe, che, però, è stata promessa ad un nipote dell’Aga. La tragedia che
segue è prevedibile- scorre il sangue,
Hatçe viene ingiustamente accusata e finisce in prigione, Memed scappa sulle
montagne e diventa un bandito.
Riconosciamo gli elementi tipici delle
storie avventurose proprie dei paesi con una natura selvaggia che si presta a
nascondigli e agguati, a inseguimenti e rapine, quando non c’è alternativa che
farsi giustizia da sé perché le leggi
sono inique e si ricorre allora al banditismo. Memed, però, è un bandito ‘buono’. Memed capisce subito che non può
andar d’accordo con l’uomo soprannominato ‘il Matto’ che deruba i viandanti
indiscriminatamente e li lascia in mutande- quella è la sua ‘firma’, l’ultima
umiliazione. Memed è una sorta di Robin
Hood che non tiene il bottino per sé, che ha una visione grandiosa del futuro per i contadini: ognuno sarà
padrone della sua terra, delle sue bestie, del suo raccolto. Memed risarcisce
gli abitanti del villaggio distrutto dall’incendio che, nelle sue intenzioni,
doveva stanare solo l’Aga dalla casa in cui si era rifugiato. Memed diventa una leggenda, il suo nome
è sulla bocca di tutti, come gli eroi delle storie tramandate oralmente attorno
ad un fuoco. E ci sarebbe ancora molto da raccontare.
“Memed il falco” è del 1955: dimostra gli
anni? Sì e no, proprio perché la vicenda di Memed è un topos ed è sempre
attuale, basta cambiare gli abiti del bandito che li indossa, basta modificare
il titolo con cui ci si rivolge al padrone, perché i sentimenti sono sempre gli
stessi, come pure le contese per l’amore di una donna. L’ambientazione è
rustica, certo, ma le descrizioni della
natura, mai ridondanti, sono bellissime, sia quelle delle distese di cardi,
sia quelle delle montagne ostili e infine quelle
soffuse di sogno delle rigogliose pianure della Cilicia. E poi la
narrazione è svelta, con frequenti cambiamenti di scena che tengono desta
l’attenzione.
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