Voci da mondi diversi. America Latina
Diaspora ebraica
FRESCO DI LETTURA
Bernardo Kucinski, “K. O
la figlia desaparecida”
Ed.
Giuntina, trad. V. Barca, pagg. 174, Euro 12,75
Il protagonista famoso de “Il processo”
di Kafka, conosciuto solo come K proprio come il personaggio del libro di
Bernardo Kucinski, non sa di che cosa possa essere accusato, mentre si aggira
nel labirintico palazzo di giustizia bussando di porta in porta. Il K di
Kucinski si accusa da solo, finirà
per macerarsi in quella che, secondo lui, è la sua colpa, mentre anche lui bussa di porta in porta in cerca di
notizie. Perché sua figlia è scomparsa e, in questo momento traboccante di
perché, lui si accorge di non sapere
nulla di sua figlia, tranne che insegnava all’Istituto di Chimica
dell’Università di San Paolo. E allora il non sapere, il non aver saputo di che
cosa lei si occupasse, che lei fosse militante
politica nell’opposizione al dittatore Ernesto Geisel, ha a che fare con la sua scomparsa, è colpa sua. Se,
invece di interessarsi soltanto di letteratura e di scrittori e di poesia,
invece di essere uno studioso della lingua yiddish- una lingua scomparsa di un popolo già scomparso- K avesse passato
più tempo a parlare con sua figlia, che era poi anche la figlia preferita, che
lui vedeva bellissima anche se non lo era, forse sarebbe potuto intervenire e
niente sarebbe successo.
Si legge di un fiato, “K. O la figlia
desaparecida”, presi dall’angoscia duplice, per la sorte della ragazza e per la disperazione del padre. Tesi
anche noi lettori a sperare, come K., che qualche informazione filtri, che
magari lei sia ancora in vita. E succede una cosa strana, mentre leggiamo (e il
merito è dello scrittore) l’assenza
diventa presenza. Elusiva, ma pur sempre una presenza, vista attraverso gli occhi degli altri. Il
padre che sapeva poco o niente delle giornate quotidiane della figlia quando
era in vita, impara a conoscerla ora che è, presumibilmente, morta. Scopre, per
esempio, che era sposata ed era ben
accolta nella famiglia del marito. K. scopre anche che ci sono molti genitori
che condividono la sua disperazione, che si riuniscono per parlarne, per
cercare di fare una indagine incrociata, per mettersi in guardia reciprocamente
contro gli sciacalli, contro gli sfruttatori.
La linea del governo è negare, negare su tutta la linea: non sanno
nulla di quei giovani, la figlia di K. sarà andata in Argentina con un amante.
E la sequenza dei capitoli del libro è
varia, alterna le ricerche di K. con capitoli in cui sono altri, spesso
senza nome, a parlare. C’è una scena in cui un uomo e una donna si preparano a
lasciare la casa nascondiglio, distruggendo tutte le carte. L’ultima loro
azione è mettersi in bocca, in una cavità tra i denti, una pastiglia di
cianuro: non possono essere altri che la figlia di K. e il marito. In un’altra
scena la ragazza che faceva le pulizie in casa di uno dei commissari dello
‘squadrone della morte’ parla con una terapeuta perché non riesce a dormire,
oppure, in un’altra ancora, è la donna di uno degli assassini a raccontare (‘è
una colpa innamorarsi?’). Appaiono i ricattatori, gli infami sfruttatori del
dolore che inventano notizie e luoghi di sepoltura. Ci sono stralci di rapporti
che raggirano la verità, fabbricano storie. E poi l’ultima offesa, la riunione universitaria per decretare la
rescissione del contratto della figlia di K. per ‘abbandono delle funzioni’.
Approvata con tredici voti favorevoli e due in bianco. Quindici vigliacchi.
La storia che Bernardo Kucinski ci
racconta è quella di sua sorella Ana e
di suo cognato Wilson Silva, scomparsi nell’aprile del 1974 durante le
prime settimane di presidenza del dittatore Ernesto Geisel. Negli archivi del
Dops (Dipartimento per l’Ordine Politico
e Sociale) una data registra il loro arresto. E niente altro. Sono tuttora desaparecidos.
“K.
O la figlia desaparecida” apre uno squarcio su una dittatura altrettanto crudele, anche se meno nota, di quelle in
Argentina e in Cile, e riesce, nello stesso tempo, a parlare di una storia privata, del senso di colpa di
chi resta, e della fosca atmosfera di un intero paese e della colpa collettiva.
Nessun commento:
Posta un commento