Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
la Storia nel romanzo
FRESCO DI LETTURA
Virginia
Baily, “Una mattina di ottobre”
Ed. Nord, trad. Giuseppe Maugeri, pagg. 416, Euro 14,37
Roma. 16 ottobre 1943. Chiara
Ravello riceve una telefonata in codice la mattina presto. Deve andare subito
in un bar, la chiamata è da parte di una persona del movimento della resistenza
antifascista. E’ così che Chiara assiste alla retata nel ghetto. La gente fatta salire sui camion, le finestre
spalancate come occhi vuoti, una donna che la fissa con uno sguardo muto. Ha un
bambino piccolo in braccio, un altro che le si aggrappa alla manica del
cappotto. C’è un appello di aiuto senza parole in quegli occhi. Chiara balza in
avanti cacciando un urlo. C’è un errore,
quel bambino non è ebreo, è il figlio di sua sorella. Il bambino viene fatto
scendere dal camion, lei lo abbraccia. Lui si dimena, vorrebbe scappare,
tornare sul pianale, tra papà e mamma. Chiara lo stringe forte e lo trascina
via, nell’appartamento dove l’attende la sorella Cecilia, epilettica.
E’ questo l’inizio del romanzo
“Una mattina d’ottobre” di Virginia Baily e sorvoliamo sul dettaglio piuttosto
incredibile dei nazisti che riconsegnano un bambino perché una donna dice che c’è
stato un errore (sarebbe stato più probabile l’opposto, o addirittura che anche
Chiara Ravello venisse caricata sul camion), perché la scrittrice ci racconta
una storia molto bella che incomincia con una
vita salvata (Chi salva una vita,
salva il mondo intero), con la
decisione di un momento che sconvolgerà la vita di chi l’ha presa. Perché
per Chiara, che aveva giurato si sarebbe presa sempre cura della sorella, il
bambino recalcitrante diventerà più importante di tutto e di tutti, per lui
sarà disposta a qualunque cosa, anche a mentire, anche a lasciarsi derubare da
lui, una volta diventato grande. Per Daniele Levi la mamma sarà sempre quella
che è scomparsa, per Chiara Ravello Daniele sarà il figlio che non ha avuto, quel legame non di sangue che si crea
quando un bambino diventa la propria responsabilità, e l’interrogativo sull’identità e l’appartenenza, su chi
siano i veri genitori si ravviva quando- è il 1973- si fa viva una ragazza dal
Galles. Si chiama Maria, ha appena saputo che il suo vero padre è Daniele Levi
e non il marito di sua madre. Maria verrà a Roma in cerca delle sue origini,
sarà ospite di Chiara, finirà per considerarla una nonna.
Ha pagine molto belle, “Una mattina d’ottobre”. La guerra e la Shoah
sono il cuore del libro ma Virginia Baily non ce ne parla in maniera diretta.
L’occupazione tedesca, la mancanza di cibo, i bombardamenti, le morti, le
deportazioni, gli arresti, perfino un accenno all’eccidio delle fosse Ardeatine
(non nominate peraltro), traspaiono nel vissuto quotidiano di Chiara, sia nella
parte in cui è sfollata nella casa della vecchia nonna in campagna, con la
sorella e il bambino, sia in quella in cui fa ritorno a Roma aggirandosi con
Daniele nelle stradine per nascondere messaggi per la mamma di lui- una maniera
dolce per fargli superare il trauma della perdita che lo ha reso muto per tre
mesi. La scrittrice deve conoscere Roma bene, e deve amarla per farla risplendere nello squallore della
guerra e del dopoguerra. Quando poi Maria arriva dalle brume del Galles, pronta
a scoprire la sua italianità con l’entusiasmo dei suoi sedici anni, la Roma che
vediamo attraverso i suoi occhi dà il meglio di sé e ci ricorda quella di Daisy Miller o di qualche altro personaggio di
Henry James.
Il finale,
soddisfacente o no, è da leggere. Che ne
è stato di Daniele? Nessuno lo ha più visto da una decina di anni. Si è
dannato per sempre? Lo salverà la figlia che non sapeva di avere? Soprattutto,
è vivo o è morto? Un colpo di fortuna (come quello che gli ha salvato la vita
all’inizio) gli farà trovare uno dei messaggi di Chiara (come quelli che lui
era solito lasciare per la sua mamma), oppure Maria si domanderà per sempre se
è vero che gli assomiglia?
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