Voci da mondi diversi. Medio Oriente
FRESCO DI LETTURA
Shifra Horn, “Scorpion Dance”
Ed. Fazi,
trad. Silvia Castoldi, pagg. 422, Euro 18,50
“Ho amato due donne nella mia vita, eppure
oggi non riesco a visualizzare i loro occhi”- esordisce così Orion,
voce narrante del nuovo e atteso romanzo di Shifra Horn che esce a distanza di
dieci anni da quello precedente. E prosegue, “i ricordi affiorano disordinati, imponendomi la loro cronologia in cui
a volte eventi più recenti ne precedono altri più antichi”. Il lettore è
incuriosito, dalla scelta della scrittrice di raccontare la storia che ha da
dirci attraverso una voce maschile e
da quella che si annuncia essere una vicenda che affonda le sue radici nel
passato. Quando leggeremo della casa
sulla collina che Orion compera, dopo la morte della nonna, e dell’enorme glicine che abbraccia la
casa stritolandola, dopo aver sentito più volte Orion parlare del linguaggio
dei fiori (uno dei tanti insegnamenti della nonna Johanna), capiremo in un
lampo che quei grappoli di un tenue viola sono il simbolo che permea tutto il
romanzo con il suo profumo- il glicine come amore ossessivo che soffoca, come immortalità e longevità (una pianta di glicine può durare anche
cento anni), come un lungo passato che
affonda le sue radici nelle precedenti generazioni e non ti lascia libero.
A meno di estirparlo in profondità, proprio come farà Orion alla fine, per
liberarsi dai ceppi, anche se sono quelli del troppo amore. Anche se il motivo
per cui aveva comprato la casa era stato giustappunto il glicine, il fiore che
confondeva con i lillà tanto amati dalla nonna Johanna.
La trama di “Scorpion Dance” è erratica ed
io non voglio raccontarvela. Dirò solo che è la storia di Orion, bambino di cui
neppure si sapeva l’esistenza quando suo
padre era morto, ventiduenne, il primo giorno della guerra dei Sei Giorni,
nel 1967. Sua madre e suo padre erano stati sposati due mesi, quando Uri,
figlio amatissimo di Johanna, era stato colpito da una granata. Sua madre
avrebbe voluto abortire (Orion lo aveva saputo molto tempo dopo, da uno dei
racconti della nonna), la nonna Johanna glielo aveva impedito: si sarebbe
incaricata lei di far crescere il bambino, come già aveva fatto con suo figlio,
che si chiamava ancora Ulrich quando erano arrivati dalla Germania nel 1948 e lui aveva tre anni. Johanna che faceva
l’ostetrica, che aveva un numero tatuato sul braccio, che si era fatta
promettere da Orion che mai sarebbe andato laggiù,
perché la Germania era verboten. Verboten parlare tedesco, verboten
acquistare qualunque cosa made in Germany.
Stravagante e straordinaria, Johanna aveva colmato di amore il nipote. Non ci
poteva essere che Johanna dietro la stravagante idea del lavoro di Orion,
diventato bibliotecario e gestore di una singolare libreria ambulante, la libreria dei libri bruciati: Johanna
aveva undici anni quando aveva assistito al rogo dei libri banditi dai nazisti,
a Berlino. Aveva riempito un vaso delle ceneri di quei libri, se lo era portato
dietro e poi aveva chiesto a Orion, come regalo, se fosse riuscito a ritrovare
per lei alcuni di quei libri.
Così Orion aveva acquistato uno sgangherato
camion dei gelati e lo aveva adattato all’uopo, per portare in giro, di moshav
in moshav, i libri bruciati. Il camion ha un nome, Falada, come il cavallo di
una fiaba la cui protagonista darà il soprannome all’altro grande amore di
Orion- la Guardiana delle Oche, la sua Basherte,
la sua ‘Promessa’. Bionda ed eterea, Christina-Anna fa la cantante. MA. C’è un
grosso MA. Perché la Guardiana delle Oche è tedesca. Che cosa avrebbe pensato
Johanna? Christina-Anna sente di dover espiare le colpe dei padri, di dover confessare che suo nonno era un nazista,
vorrebbe convertirsi all’ebraismo: è sufficiente tutto ciò?
La trama e il groviglio di sentimenti e
tutti gli eventi che vengono a poco a poco alla luce non sono così semplici
come potrebbe apparire in queste poche righe. Non è facile neppure giungere ad
una risposta della domanda sottesa alla storia di Johanna, di Orion e della Basherte: è possibile una riconciliazione? Si può sradicare il passato come
Orion si trova costretto a fare con le radici del glicine, piantando poi un
nuovo rampicante? Le buone azioni
possono colmare il baratro del peccato? Che cosa succede se (come
nell’opera che va in scena a Berlino, con Christina-Anna che canta la parte del
contralto) Orfeo si gira a guardare la sua Euridice?
Una parola ancora su un altro personaggio
di questo libro molto bello, molto
doloroso, molto poetico e immaginario- il pappagallo cacatua chiamato Sarah per sbaglio perché è un maschio.
Un pappagallo parlante e dotato di sentimenti che muore al momento giusto, di
dolore e di abbandono, una voce a sé
fuori scena di cui aspettiamo i commenti che ci offrono un pizzico di
divertimento, tanto quanto Falada che attacca la musichetta attira-bambini nei
momenti più impensabili, senza che lo si riesca a controllare.
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