Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
FRESCO DI LETTURA
Brit Bennett, “Le madri”
Ed. Giunti, trad. G. Scocchera,
pagg. 336, Euro 15,30
Si affollano intorno a noi, le madri, nel
romanzo intitolato proprio “le Madri” della scrittrice californiana Brit
Bennett. Sono la presenza dominante- madri amate e rimpiante, madri che non
state capaci di proteggere le figlie, madri dure, madri tenere, ragazze che
desiderano più di ogni altra cosa diventare madri e ragazze che, invece,
rifiutano di diventarlo, ‘le madri’ per antonomasia, infine, e sono le vecchie
che furono madri (ma si smette mai di esserlo?) e che formano il coro del
romanzo con le loro chiacchiere e i loro commenti che fanno da sfondo alla
vicenda. Per contro, gli uomini, ragazzi o adulti, sono deboli, sembrano essere
padroni della situazione e invece sono quasi degli strumenti nelle mani delle
donne.
Oceanside, una cittadina vicino a San
Diego in California. Una chiesa, la Upper Room, frequentata da tutti i
personaggi del romanzo, un luogo di quiete e di sostegno per chi ne ha bisogno.
Due ragazze che diventeranno amiche, Nadia e Aubrey. Un ragazzo, Luke, figlio
del pastore della Upper Room. Ognuno dei tre ha uno spazio buio nel cuore.
Ognuno dei tre soffre per qualcosa. La madre di Nadia si è suicidata senza
lasciare una parola di spiegazione. Nadia- il ritratto vivente di sua madre-
non riesce a perdonarle di averla abbandonata così. Aubrey vive con sua sorella
e non vuole neppure pensare a sua madre che non ha né saputo né voluto
proteggerla dalle molestie del suo convivente di turno. Luke sognava una
carriera da giocatore di football- ha avuto un incidente che lo ha lasciato
leggermente zoppo.
Le grandi linea della vicenda sono facili
da indovinare- una Nadia diciassettenne, orfana e infelice che si innamora (ma
non lo ha sempre un poco amato, quando lo vedeva giocare a football?) di Luke e
resta incinta, un bambino non voluto che sarebbe d’intralcio alle ambizioni di
Nadia, la fine di un amore e, quando Nadia è in un’università del nord dove
indossa per la prima volta cappotto e guanti, il nuovo amore, diverso, pacato,
tra Luke e Aubrey (la grande amica di Nadia che però non sa nulla di quello che
c’è stato tra lei e il ragazzo che adesso è suo marito). E tuttavia la
narrazione di Brit Bennett continua ad avvitarsi intorno al tema della
femminilità profonda, di che cosa significhi essere madri o prendere la
decisione di non esserlo, della responsabilità che una madre ha verso un figlio
che ha messo o non ha messo al mondo e mette a confronto modi diversi di essere
genitori. Anche i padri sono tirati in campo, anche se in maniera differente,
come fossero un riflesso delle madri- il padre di Nadia così assorto nel suo
dolore da essere incapace di tendere una mano alla figlia, da non accorgersi
neppure di quello che sta passando, quello di Luke che tira fuori i soldi per
un’azione eticamente sbagliata (sarà uno scandalo quando si verrà a sapere),
Luke stesso che non smetterà mai di pensare al figlio che avrebbe potuto avere.
Mentre seguiamo le vicende dei personaggi
negli anni che seguono, siamo guidati dalle parole delle anziane madri della
Upper Room- un vero e proprio coro che sembra uscire da una tragedia classica-
a riflettere sul passato che non passa mai e sulle conseguenze che le nostre
azioni trascinano con sé e che ricadranno su di noi a distanza di anni. Un
dettaglio interessante: con naturalezza, come se fosse scontato e a meno che
non venga detto altrimenti, tutti i personaggi hanno la pelle nera.
Un notevole romanzo d’esordio della
scrittrice venticinquenne.
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