Voci da mondi diversi. Medio Oriente
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Ahmed Mourad, “Polvere di diamante”
Ed. Marsilio, trad. Barbara
Teresi, pagg. 380, Euro 18,50
Titolo originale: Tourab al-mass
Qui tu sei morto. Non fare come
me, non seppellirti in un posto che non merita. Parliamoci chiaro: in questo
paese ci vorranno almeno altri cinquant’anni perché si possa vivere bene. Tu
fai fuori un poco di buono, due, mille, ma queste persone sono come gechi, se
gli tagli una zampa gliene spuntano altre dieci.
Nero, nerissimo, il colore di questo
thriller “Polvere di diamante” di Ahmed Mourad che ho preso in mano proprio nei
giorni in cui sta divampando la rivoluzione nelle strade del Cairo. Di un nero
senza continuità, perché le prime pagine ci portano indietro al 1954 con il
nonno del protagonista Taha, proprietario di un negozio di profumi. Nel 1954 il
presidente Nagib fu destituito, sei dirigenti della Fratellanza Musulmana
furono condannati a morte e nel 1956 Nasser fu eletto presidente. Sempre in
quell’anno, a seguito della nazionalizzazione del Canale di Suez, scoppiò la
guerra che vide unite le forze di Francia, Inghilterra e Israele contro
l’Egitto. I bombardamenti del Cairo sono uno sfondo necessario, un preambolo
all’azione del romanzo che si svolge nel 2008. Il negozio di profumi della
famiglia Al-Zahhàr non esiste più da quasi mezzo secolo, il padre di Taha è
confinato su una sedia a rotelle (e, secondo la tradizione letteraria e cinematografica
in questa situazione, spia con un binocolo la vita fuori dalla finestra), Taha
fa il rappresentante farmaceutico e lavora qualche ora al giorno dietro il
banco di una farmacia. Una sera si rifiuta di preparare una miscela di droghe
per un energumeno del quartiere e, poco dopo, suo padre viene ucciso. Una
vendetta del forzuto che ha una brutta fama? Oppure suo padre ha visto qualcosa
che non doveva vedere?
Il quadro dell’Egitto che Ahmed Mourad
dipinge è a tinte fosche. La corruzione dilaga ad ogni livello con conseguenze
disastrose- appalti truccati, lavori edilizi eseguiti in maniera inadeguata e
criminale, voti comprati, elezioni truccate, bustarelle ovunque, il sistema del
‘fammi questo favore e avrai questo in regalo’ eletto a costume universalmente
accettato in ogni ambiente, anche in quello delle forze dell’ordine. La
legalità non esiste, nessuno è tutelato, la polizia usa mezzi brutali. Non
solo. In una società in cui le donne portano il velo e la religione musulmana
erge una barriera tra i due sessi, la perversità sessuale è così diffusa da
essere la norma- si può trovare facilmente di tutto sul mercato e nessuno si
scandalizza più che tanto. Davanti alla reazione di un Taha sconvolto da un
omicidio che si è appena perpetrato sotto i suoi occhi, l’uomo che proprio non
dovrebbe essere coinvolto in quanto parte attiva in fatti del genere dice,
“L’Egitto fa ottanta milioni di abitanti. Non credo che qualcuno sentirà la
mancanza di…” (ometto il nome della vittima). Non si salva quasi nessuno dei
personaggi di “Polvere di diamante”. Non il vecchio commerciante di profumi che
ha dato origine al tutto, investendosi di un’aura di giustiziere, non suo
figlio, padre di Taha, che ha portato avanti l’impresa del proprio padre- “un
piccolo errore per correggere errori più grandi”-: dove non arriva la legge a
fermare il malcostume, gli abusi e i crimini, può arrivare il singolo con la
polvere di diamante, un veleno subdolo, insapore, che agisce lentamente,
letale. Non si salva neppure Taha, stritolato da forze a cui non è in grado di
opporre resistenza, spinto dall’amore per il padre e dal desiderio di scoprire
che cosa nasconda la sua morte.
In mezzo a tutti i personaggi
negativi maschili risalta Sara, la vicina di casa di Taha, la ragazza a cui lui
non è capace di rivelare il suo amore. Non è un caso che sia lei a dare voce
alla protesta, a manifestare contro il regime. Testa coperta dal velo e
macchina fotografica in mano, è Sara che ha il coraggio di scrivere un articolo
incendiario. La sua è la voce di tutte le donne musulmane mortificate e ridotte
al silenzio: “E’ questo paese che ce l’ha con noi, non noi che ce l’abbiamo con
il paese!”.
Se nel primo romanzo, “Vertigo”, la
narrativa a tratti rallentava, procede invece veloce in “Polvere di diamante”-
è graffiante come la punta di un diamante, ricca di un’ironia che trabocca di
una profonda tristezza. E straordinariamente attuale.
la recensione e la successiva intervista sono state pubblicate su www.wuz.it
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