Casa Nostra. Qui Italia
guerra civile spagnola
il libro ritrovato
Non è perché Paloma è tornata che
Antonio Sagarra Campos scende di nuovo nell'arena dopo 11 anni di assenza.
Perchè non è un romanzo d'amore il libro di Antonio Steffenoni, "Paloma è
tornata". C'è anche l'amore, ma c'è soprattutto la consapevolezza di una
dignità personale per la quale vale la pena di morire. Quando Antonio Sagarra
Campos aveva chiuso ingloriosamente la sua carriera, tutti avevano pensato che
l'amore per una donna lo avesse rovinato. Che fosse l'infelicità la causa del
suo declino. Ed era vero che l'amore lo aveva rovinato, ma perché lo aveva reso
vulnerabile e si era macchiato di una colpa che lui, soprannominato "il
Rosso" non solo per il bagliore dei suoi capelli al sole, non aveva mai
potuto perdonarsi. A una settimana dalle prime elezioni democratiche della
Spagna post-Franco, Paloma è tornata con suo marito, noto sostenitore del
regime franchista, pronto a collaborare adesso con il nuovo governo. E l'ultima
corrida di Antonio Sagarra Campos è orchestrata per mostrarlo di nuovo in tutto
il suo splendore, come quando era l'idolo delle folle e nessuno sapeva che quel
corteggiare la morte era anche una sfida continua al regime. Un'ultima corrida
per riprendere in mano la sua vita, per non rendere inutili tante morti, per
comunicare il messaggio di un'ultima protesta. Stilos ha parlato con Antonio
Steffenoni di corride, di toreri, della Spagna e del suo libro.
INTERVISTA AD ANTONIO STEFFENONI
Lei è spagnolo per parte di
madre e un immaginario lettore le dà subito il diritto di parlare di corride.
Il grande Hemingway ha scritto molto sulle corride: gli spagnoli gli concedono
questo diritto?
Gli spagnoli apprezzano moltissimo
Hemingway, gli perdonano tutto per due motivi: perché ha amato veramente la
Spagna e lo ha dimostrato. Hemingway era in Spagna negli anni '20 e poi negli
anni '30, durante la guerra civile, rischiando la vita perché era a Madrid
sotto le bombe. Ha portato denaro in Spagna, ha scritto il testo di un
documentario sulla guerra civile spagnola, diffuso a New York e in tutta
l'America mentre la guerra era in atto per chiedere finanziamenti , e poi ha
fatto il suo ultimo viaggio da sano in Spagna, nel 1959, per festeggiare il suo
sessantesimo compleanno in un paese che lui amava moltissimo. Il secondo motivo
è che Hemingway era straordinariamente competente, ha scritto di corride
avendone grande competenza. E' una competenza che anche io penso di avere,
perché ho incominciato ad andare a vedere le prime corride con mio zio quando
avevo 7 anni, ne ho viste tante, credo le migliori, ai tempi in cui le corride
erano ancora "serie".
Mi ha affascinato il tema
della corrida e il modo in cui lei ne parla. E' più che mai chiaro che ci sono
due modi di vedere la corrida.
Fatta la premessa che la corrida è
veramente uno spettacolo atroce e barbarico e crudele, se ne può parlare
ugualmente, tenendo a mente, prima di tutto, che cosa è stata la corrida tra
gli anni '30 e gli anni '60 in Spagna.
Era una delle tre possibili carriere per i poveri. Le altre due possibilità
erano farsi prete o entrare nella guardia civile. La corrida era la cruna
dell'ago, che poi era la cruna della morte, attraverso cui passare per arrivare
al benessere, ad essere qualcuno. La Spagna di cui stiamo parlando era il paese
in cui interi villaggi non avevano acqua, non avevano né luce né fogne. Forse
non si sa che durante la guerra civile le corride sono state sospese perché i
tori erano troppo magri, perché non c'era di che nutrirli. Bisogna sempre
ricordare che cosa era questo spettacolo che ha origini leggendarie, pare che
il primo torero sia stato El Cid Campeador. E' una di quelle pratiche che ha a
che fare con la natura un po' sbruffona, un po' tragica e sadica degli
spagnoli. Io ho iniziato ad andare alla corrida a 7 anni insieme ad uno zio
spagnolo supercompetente e ho goduto delle grandi corride con la sensibilità di
un ragazzo di 7 anni, quindi in adorazione dell'eroe, in anni in cui non c'era
la sensibilità animalista di oggi. Sono tornato a vedere una corrida lo scorso
anno ed effettivamente adesso è inguardabile, perché adesso l'attenzione va
alla povera bestia torturata. Quando ero piccolo il toro era un mostro
terribile che attaccava con furore una specie di sacerdote della bellezza e del
coraggio. La corrida è uno spettacolo cruento che riesce a mettere insieme la
crudeltà e una bellezza straordinaria. Poi è arrivata la televisione, sono
arrivati i turisti e la corrida è diventata semplice spettacolo.
E mi è sembrato che la
corrida, nel suo libro, possa essere una metafora per la lotta al franchismo.
In questo libro c'è un personaggio che,
in qualche modo, rappresenta la corrida come una lotta dignitosa, in cui tu ti
metti in gioco e sei pronto a morire. Con un toro ci puoi lasciare la pelle, o
puoi fare una figura da vigliacco davanti a un pubblico che ha pagato per
vederti coraggioso. Il personaggio del mio libro vuol dire che la vita ha un
senso se la si vive con dignità e coraggio. Quando si vive in un paese
abbrutito dalla crudeltà della tirannia, come lo è stato la Spagna per quasi 40
anni, fare una scelta di antifranchismo è stata una scelta di grande coraggio.
Non si può dimenticare che il franchismo è stato molto più crudele del
fascismo, solo dopo la fine della guerra sono state giustiziate quasi mezzo
milione di persone. In questo momento estremo questo personaggio vuole mostrare
a se stesso e agli altri che una vita senza coraggio non vale la pena di essere
vissuta. Lui sa che in un momento della sua vita ha mancato di dignità e si
impone di pagare un prezzo.
Per i poveri il torero è il sogno del
riscatto, l'eroe con cui ti identifichi e attraverso il quale ti innalzi. E' un
sogno possibile, un mito raggiungibile. E' il mito estremo del coraggio, non un
coraggio bruto, ma il coraggio di chi sottomette la sua paura ad una tecnica
sopraffina. Il torero ha dei passi da fare con precisione, ordine, competenza.
Quello del torero è il coraggio competente. E' una figura che in parte fa
sognare e in parte è educativa, educa ad imparare un'arte. E il traje de luces
è l'aspetto tra il folkloristico, spettacolare e religioso che c'è nella
corrida. Infatti non si dice che il torero "indossa" il traje de
luces, ma c'è la "vestizione" del torero. E' come i paramenti del
sacerdote, per officiare una funzione religiosa che ha a che fare con la vita e
con la morte.
Nel libro vengono nominati
molti toreri famosi, chi aveva in mente per Antonio Sagarra Campos?
Non mi sono ispirato a nessuno in
particolare; però, forse, questo torero è la fusione di due grandi, Antonio
Ordoñez, un torero di straordinario coraggio, eleganza, compostezza, e Miguel
Baez, che era un pazzo, voleva far vedere che sfidava la morte con mosse
plateali.
Che cosa ne pensa delle donne
torero?
Non ne ho mai vista una, ma la
corrida non è una pratica di forza, perciò non c'è niente che impedisca ad una
donna di fare il torero. Anche la stoccata finale, se è giustamente calibrata,
non richiede una forza particolare. E siccome la corrida è uno spettacolo di
grazia e bellezza straordinarie, penso che una donna torero possa aggiungere
molto al fascino di questo spettacolo.
Ed. Tropea, pagg.253, Euro 14,00
l'intervista è stata pubblicata sulla rivista Stilos
l'intervista è stata pubblicata sulla rivista Stilos
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