giovedì 22 dicembre 2016

Jaume Cabré, “L’ombra dell’eunuco” ed. 2010

                                      Voci da mondi diversi. Penisola iberica
   la Storia nel romanzo
  il libro ritrovato


Jaume Cabré, “L’ombra dell’eunuco”
Ed. laNuovafrontiera, trad. Stefania Maria Ciminelli, pagg. 441, Euro 19,00

Titolo originale: L’ombra de l’eunuc


 Le cronache dicono che sono diventato pazzo quando tuo padre è fuggito. In effetti è andata così. Ma allora avevo già dentro di me il seme della follia, spuntato quando ho capito che non avrei mai potuto avere una vita normale accanto al mio amore. E la disperazione mi ha portato alla costruzione di un’autentica opera d’arte che mi potesse riscattare; ho trovato la vecchia formula dell’alchimia che dà senso au dur désir de durer che ha tanto ossessionato il mio lato faustiano. E sai come ci sono riuscito? Sai qual è questa opera d’arte? La bella storia degli amori della tua bisnonna Pilar Prim de Genoana.

     Quando ci accorgiamo che non siamo soli, perché il nostro pensiero si aggira di continuo intorno ai personaggi del libro che stiamo leggendo o abbiamo finito di leggere, vuol dire che quello era un bel libro. Quando ci tornano in mente situazioni o frasi che abbiamo trovato in quel libro e ci riflettiamo, ci poniamo domande, cerchiamo risposte o altre soluzioni, vuol dire che quello era proprio un bel libro. Quando persino una casa diventa un personaggio e le sue mura hanno una voce muta che racconta una storia, vuol dire che quello era un libro davvero molto bello.
“L’ombra dell’eunuco” dello scrittore catalano Jaume Cabré è bellissimo, tanto quanto il suo “Le voci del fiume”, pubblicato prima ma scritto dopo questo che è appena uscito.
Una famiglia: i Gensana di Feixes, vicino a Barcellona. Una casa che è stata abitata per duecento anni da sette generazioni di Gensana, con una lunga serie di Maur e di Anton che si alternano, con gli stessi nomi che passano di nonno in nipote.  Due voci narranti, di due uomini che appartengono a due generazioni diverse di Gensana: l’anziano zio Maurici e il nipote Miquel. Racconteranno due storie differenti, perché il primo, ora rinchiuso in una casa di cura, è la Memoria dei Gensana, anche se  è un Gensana per parte di madre, mentre il secondo è un figlio del suo tempo, un ribelle che se ne è andato di casa per entrare in clandestinità e lottare contro il regime franchista per poi ritrovarsi con un pugno di mosche in mano, gli studi interrotti, ricordi che è impossibile cancellare, sensi di colpa, tutto il peso delle sue “azioni e omissioni”. Ci sarà un conto da pagare per tutto questo, ad un certo punto.  

     Tutto inizia in un ristorante: Miquel Gensana ha accettato l’invito a cena di Julia, la collega che deve scrivere un necrologio su Bolós, l’uomo politico che era il più caro amico di Miquel. Compagno di scuola prima, insieme ad un altro: erano i tre moschettieri, poi Rovira aveva preso i voti e Miquel e Bolós si erano uniti alla guerriglia antifranco (nomi in codice, Simó e Franklin). Eppure, durante la cena, Miquel parla soprattutto di sé e non di Bolós (che, peraltro, lui è sicuro sia stato assassinato, così come è sicuro che lui stesso sarà la prossima vittima raggiunta dal passato). Perché- Julia non può saperlo, ma il ristorante che ha scelto è in quella che una volta era casa Gensana. Non più la loro dalla sera di pioggia in cui il padre di Miquel era andato ad aprire la porta, aveva detto, ‘torno subito’, ed era scomparso. Così com’era, in pantofole.

    Jaume Cabré è un mago nel raccontare. Le due voci, di Maurici e di Miquel, si alternano senza un ordine preciso, così come, senza ordine e all’improvviso, può accadere che si passi dalla prima alla terza persona nel narrare le vicende, dall’oggettivo al soggettivo, dall’allora all’adesso. Perché anche le carte del tempo vengono rimescolate e distribuite senza un ordine e il lettore impara a destreggiarsi fra i vari Maur e Anton delle varie generazioni. Ad ogni nome è spesso unito un aggettivo che lo qualifica sul momento, come succedeva ai sovrani di una volta. Così Miquel può essere di volta in volta, Miquel l’Indeciso, il Cacadubbi, Miquel Che, l’Apostata, il Meditatore, l’Eterno Apprendista, mentre Maurici è, per lo più, Maurici Senza Terra. C’è un significato dietro tutti questi nomi: Maurici è il nipote orfano accolto per misericordia in casa dei cugini e finirà, però, per ereditare la casa, lui che è sterile come un eunuco, che è stato svergognato e ricattato perché omosessuale; Miquel è il figlio ribelle che si trova a fare il Che con una pistola in mano senza però alcuna certezza sulla giustezza di quello che sta facendo, che farà poi il critico- che è uno sterile eunuco a fronte dell’artista creativo.
Amori, passioni, egoismi, segreti e tradimenti, un altro romanzo dentro il romanzo della storia del passato raccontata da Maurici; amori, segreti altrettanto pesanti e altrettanto gravi tradimenti nel racconto della lotta armata della giovinezza di Miquel (che, senza saperlo, porta il nome dell’amante dello zio).
E poi, la storia della casa, che ha anch’essa i suoi segreti tra le fronde dei castagni, che racconta attraverso le spine del rosaio e i rami del corbezzolo piantati vicino alla porta. La casa che è stata tradita, giocata a carte, ipotecata, svenduta, con la stanza della biblioteca trasformata nella sala kitsch di un  ristorante.
    Un libro così ricco che è un tesoro da non perdere.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it







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