Voci da mondi diversi. Penisola iberica
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Francisco José
Viegas, “Lontano da Manaus”
Ed. laNuovafrontiera, trad. Roberta Fregonese, pagg. 378,
Euro 18,00
“Lontano
da Manaus”: è facile essere lontano da Manaus, sembra quasi che qualunque luogo
sia lontano da Manaus nel cuore del Brasile, il centro del mondo- come dice uno
dei personaggi del romanzo di Francisco Viegas. Manaus, la città nella foresta
amazzonica, la città dell’esilio, rifugio o nascondiglio di chiunque voglia
sfuggire ai suoi crimini o ai suoi nemici o a se stesso. E che cosa era venuto a
fare a Manaus negli anni ‘80 Álvaro Severiano Furtado, l’uomo che viene trovato
morto in un piccolo appartamento anonimo a Porto, in Portogallo? Perché è così
difficile sapere qualcosa di lui, perché ci sono dei buchi nella sua vita?
C’è una sorta
di avvertimento nella prima pagina del romanzo “Lontano da Manaus”: ‘Il romanzo
giallo, come si sa, ha le sue regole. Questo no.’. E allora il lettore deve
sapere subito che non può aspettarsi una risposta a tutte le domande, e che se
aveva pensato di leggere un semplice libro giallo, con uno o più assassinii,
con un’indagine poliziesca che consegnerà il colpevole alla giustizia, con
un’azione veloce e dialoghi svelti, si era sbagliato.
“Lontano da Manaus” è un
romanzo tout court che contiene anche un’inchiesta per degli omicidi,
con un ispettore di polizia, Jaime Ramos, che domina la vicenda, affiancato
nella seconda parte del libro, quella che si sposta a Manaus, da un altro
ispettore, in parte arabo e in parte indio, grande affabulatore, Osmar Santos.
All’inizio c’è il cadavere di un uomo, dunque, e quello che è strano è che-
prima ancora che chiunque possa esserne informato- il noto avvocato Henrique
Praia Portocarrero si presenta negli uffici di polizia: Furtado era suo cliente
e gli aveva lasciato disposizioni perché le ceneri venissero recapitate al
figlio Selim, suo unico erede. Quasi contemporaneamente, a San Paolo di
Brasile, un uomo che dice di essere Álvaro Severiano Furtado preleva una grossa
somma di denaro in banca. Guarda caso, è assente l’impiegato che lo conosce e
il denaro gli viene consegnato da una ragazza che non lo aveva mai visto. E che
viene assassinata- troppo sveglia, troppo curiosa, aveva fatto una telefonata
di troppo. C’è poi, ancora in Portogallo, un’altra donna, una prostituta
brasiliana, che viene trovata morta, legata al letto.
Questi sono i
fatti che, ad un certo punto, sembrano passare in secondo piano, corrono il
rischio di essere dimenticati, tanto prevale il nostro interesse per i vivi che
si muovono sulla scena, compreso Álvaro Severiano Furtado che rappresenta
l’ambiguità stessa dell’esistenza, l’elusività della verità. A volte sembra
quasi che lo scrittore Francisco José Viegas si dimentichi che sta raccontandoci
una storia gialla e che il lettore vuole sapere chi è l’assassino, perché segue
un altro filone, ci racconta di personaggi minori, indugia sulle riflessioni di
Jaime Ramos, apre una parentesi sulla guerra in Angola, su che cosa aveva
voluto dire vivere nelle colonie. Per gli uomini- per Jaime Ramos che era stato
in Guinea, per Furtado e per Portocarrero che avevano combattuto in Angola, ed
era strano che Furtado avesse rinnovato la ferma, proprio lui che prima aveva
disertato. Per le donne- sia la prima sia la seconda moglie di Portocarrero
avevano vissuto in Africa, come quella Mara che appariva abbracciata a Furtado
in una foto scattata in Angola nel 1973. Ma la storia di Mara viene raccontata,
risalendo a quella della sua stessa famiglia in Libano, dal brasiliano Osmar
Santos, doppio specularmente perfetto del portoghese Jaime Ramos- questo
contagiato dalla malinconia della pioggia continua di Porto, quello di una
vitalità pari a quella della selva amazzonica, Jaime fedele da anni alla donna
che abita nel suo stesso condominio, donnaiolo impenitente Osmar che dice di
sé, “Sono il cattivo personaggio di un romanzo”. Mentre Jaime, al fedele
Isaltino che chiede, “Capo. Se lei fosse Don Chisciotte, io potrei essere
Sancho Panza, vero?”, risponde con il suo fine umorismo che no, è troppo grasso
e troppo basso e non ha letto abbastanza, ma lui, Isaltino, “di sicuro avresti
la parte”.
Cervantes è solo una delle
citazione letterarie di questo libro sorprendentemente ricco, con Amado,
Saramago e altri, insieme a nomi di musicisti o pittori. Che ci intrigano nella
relazione che hanno con i personaggi, quanto ci intriga la voce narrante-
sempre in terza persona che però, a volte, “riferisce” dei monologhi interiori
passando alla prima persona. E a volte pare nascondersi dietro qualcuno che
racconta una parte della vicenda senza che noi sappiamo chi sia. Senza contare
i salti linguistici, dal portoghese di Portogallo a quello di Brasile, di cui
nella traduzione possiamo renderci conto solo di sfuggita- quando il tassista
non capisce Jaime a San Paolo, o quando Jaime riflette sui cambiamenti del suo
accento dopo il breve soggiorno in Brasile.
“Lo può aprire, Ramos. E’ il vaso
di Pandora che ho trovato tra le cose di Furtado”, dice l’ispettore Osmar
Santos porgendo al collega una scatola piena di fotografie. Anche questo libro
è come il vaso di Pandora, non nel senso che ne fuoriesce tutto il male, ma
perché lo si inizia a leggere e, inaspettatamente, si è travolti
dall’abbondanza di storie.
la recensione è stata pubblicata sulla rivista Stilos
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