lunedì 12 dicembre 2016

Francisco José Viegas, “Lontano da Manaus” ed. 2007

                                                          Voci da mondi diversi. Penisola iberica
        cento sfumature di giallo
         il libro ritrovato

Francisco José Viegas, “Lontano da Manaus”
Ed. laNuovafrontiera, trad. Roberta Fregonese, pagg. 378, Euro 18,00

   “Lontano da Manaus”: è facile essere lontano da Manaus, sembra quasi che qualunque luogo sia lontano da Manaus nel cuore del Brasile, il centro del mondo- come dice uno dei personaggi del romanzo di Francisco Viegas. Manaus, la città nella foresta amazzonica, la città dell’esilio, rifugio o nascondiglio di chiunque voglia sfuggire ai suoi crimini o ai suoi nemici o a se stesso. E che cosa era venuto a fare a Manaus negli anni ‘80 Álvaro Severiano Furtado, l’uomo che viene trovato morto in un piccolo appartamento anonimo a Porto, in Portogallo? Perché è così difficile sapere qualcosa di lui, perché ci sono dei buchi nella sua vita?
     C’è una sorta di avvertimento nella prima pagina del romanzo “Lontano da Manaus”: ‘Il romanzo giallo, come si sa, ha le sue regole. Questo no.’. E allora il lettore deve sapere subito che non può aspettarsi una risposta a tutte le domande, e che se aveva pensato di leggere un semplice libro giallo, con uno o più assassinii, con un’indagine poliziesca che consegnerà il colpevole alla giustizia, con un’azione veloce e dialoghi svelti, si era sbagliato.
“Lontano da Manaus” è un romanzo tout court che contiene anche un’inchiesta per degli omicidi, con un ispettore di polizia, Jaime Ramos, che domina la vicenda, affiancato nella seconda parte del libro, quella che si sposta a Manaus, da un altro ispettore, in parte arabo e in parte indio, grande affabulatore, Osmar Santos. All’inizio c’è il cadavere di un uomo, dunque, e quello che è strano è che- prima ancora che chiunque possa esserne informato- il noto avvocato Henrique Praia Portocarrero si presenta negli uffici di polizia: Furtado era suo cliente e gli aveva lasciato disposizioni perché le ceneri venissero recapitate al figlio Selim, suo unico erede. Quasi contemporaneamente, a San Paolo di Brasile, un uomo che dice di essere Álvaro Severiano Furtado preleva una grossa somma di denaro in banca. Guarda caso, è assente l’impiegato che lo conosce e il denaro gli viene consegnato da una ragazza che non lo aveva mai visto. E che viene assassinata- troppo sveglia, troppo curiosa, aveva fatto una telefonata di troppo. C’è poi, ancora in Portogallo, un’altra donna, una prostituta brasiliana, che viene trovata morta, legata al letto.

    Questi sono i fatti che, ad un certo punto, sembrano passare in secondo piano, corrono il rischio di essere dimenticati, tanto prevale il nostro interesse per i vivi che si muovono sulla scena, compreso Álvaro Severiano Furtado che rappresenta l’ambiguità stessa dell’esistenza, l’elusività della verità. A volte sembra quasi che lo scrittore Francisco José Viegas si dimentichi che sta raccontandoci una storia gialla e che il lettore vuole sapere chi è l’assassino, perché segue un altro filone, ci racconta di personaggi minori, indugia sulle riflessioni di Jaime Ramos, apre una parentesi sulla guerra in Angola, su che cosa aveva voluto dire vivere nelle colonie. Per gli uomini- per Jaime Ramos che era stato in Guinea, per Furtado e per Portocarrero che avevano combattuto in Angola, ed era strano che Furtado avesse rinnovato la ferma, proprio lui che prima aveva disertato. Per le donne- sia la prima sia la seconda moglie di Portocarrero avevano vissuto in Africa, come quella Mara che appariva abbracciata a Furtado in una foto scattata in Angola nel 1973. Ma la storia di Mara viene raccontata, risalendo a quella della sua stessa famiglia in Libano, dal brasiliano Osmar Santos, doppio specularmente perfetto del portoghese Jaime Ramos- questo contagiato dalla malinconia della pioggia continua di Porto, quello di una vitalità pari a quella della selva amazzonica, Jaime fedele da anni alla donna che abita nel suo stesso condominio, donnaiolo impenitente Osmar che dice di sé, “Sono il cattivo personaggio di un romanzo”. Mentre Jaime, al fedele Isaltino che chiede, “Capo. Se lei fosse Don Chisciotte, io potrei essere Sancho Panza, vero?”, risponde con il suo fine umorismo che no, è troppo grasso e troppo basso e non ha letto abbastanza, ma lui, Isaltino, “di sicuro avresti la parte”.

Cervantes è solo una delle citazione letterarie di questo libro sorprendentemente ricco, con Amado, Saramago e altri, insieme a nomi di musicisti o pittori. Che ci intrigano nella relazione che hanno con i personaggi, quanto ci intriga la voce narrante- sempre in terza persona che però, a volte, “riferisce” dei monologhi interiori passando alla prima persona. E a volte pare nascondersi dietro qualcuno che racconta una parte della vicenda senza che noi sappiamo chi sia. Senza contare i salti linguistici, dal portoghese di Portogallo a quello di Brasile, di cui nella traduzione possiamo renderci conto solo di sfuggita- quando il tassista non capisce Jaime a San Paolo, o quando Jaime riflette sui cambiamenti del suo accento dopo il breve soggiorno in Brasile.
“Lo può aprire, Ramos. E’ il vaso di Pandora che ho trovato tra le cose di Furtado”, dice l’ispettore Osmar Santos porgendo al collega una scatola piena di fotografie. Anche questo libro è come il vaso di Pandora, non nel senso che ne fuoriesce tutto il male, ma perché lo si inizia a leggere e, inaspettatamente, si è travolti dall’abbondanza di storie.

la recensione è stata pubblicata sulla rivista Stilos



    

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