mercoledì 7 dicembre 2016

Michelle Wan, “La maledizione dell’orchidea” ed. 2007

                                                            Voci da mondi diversi. Cina        
   cento sfumature di giallo
   il libro ritrovato

Michelle Wan, “La maledizione dell’orchidea”
Ed. Garzanti, trad. Barbara Bagliano, pagg. 350, Euro 18,60

Aprile 2004. In una villa nel Sud-Ovest della Francia dei muratori trovano il cadavere di un neonato in un muro che stanno demolendo. Christophe de Bonfond, proprietario della villa, non vuole che sia macchiato il nome della sua famiglia, ma viene assassinato l’uomo che lui stesso aveva incaricato di ricerche genealogiche, mentre una bestia che sembra un enorme lupo assalta il bestiame e azzanna i contadini della zona. C’è un legame tra questi fatti? E l’orchidea rara ricamata sullo scialle che avvolge il bambino può servire da traccia?


INTERVISTA A MICHELLE WAN, autrice de “La maledizione dell’orchidea”

     Non sempre è vero quello che dice l’incantevole Giulietta parlando nella notte, “Che cosa c’è in un nome? Quella che noi chiamiamo rosa, anche chiamata con un’altra parola avrebbe lo stesso odore soave…”. Prendiamo l’orchidea, ad esempio, il fiore che serve da filo conduttore negli originali romanzi con delitto della scrittrice cinese Michelle Wan. Se invece di ‘orchidea’ (che peraltro viene dal greco órchis, testicolo, con riferimento alla forma dei bulbi) che ha un suono leggermente gutturale, chiamiamo lo stesso fiore con il nome latino Cypripedium incognitum, aggiungendovi l’aggettivo che indica la specie rara ricercata dal protagonista dei romanzi, si crea un’aura di mistero intorno al fiore, solleticando la nostra curiosità, giustificando l’ossessione monomaniacale che Julian Wood ha nei suoi confronti, l’interesse esclusivo che lo porta a domandarsi, citando Linneo, “se gli uomini che rischiano così disperatamente la vita e ogni altra cosa per collezionare piante sono sani di mente.” 
   Si annuncia come una ricerca senza fine, quella di Julian Wood che, nel precedente romanzo della Wan, “Il mistero dell’orchidea selvatica”, aveva aiutato la canadese Mara Dunn a trovare il responsabile della morte della gemella Bedie, scomparsa in Dordogna vent’anni prima. Trovando pure, tra le fotografie scattate da Bedie prima di essere assassinata, un’immagine del raro fiore: ce ne sarà ancora qualche esemplare a distanza di tanto tempo? E l’indagine di tipo poliziesco si era intrecciata ad un’indagine squisitamente botanica, come avviene anche nel nuovo romanzo, “La maledizione dell’orchidea”. Mara Dunn, che si occupa di ristrutturazioni d’interni e che ora ha un legame sentimentale con il botanico e architetto di giardini Julian Wood, trova ogni tanto pedanti le spiegazioni di lui. O forse lo dice perché le orchidee sono le sue rivali e le parole di Wood sembrano accarezzare i fiori- noi lettori troviamo affascinante, nonché molto originale, questo filone naturalistico che ci parla di habitat, di petali e sepali, impollinazione e colori straordinari. L’inventiva di Michelle Wan per costruire una nuova storia legata alle orchidee ricorre ad una macabra scoperta durante i lavori di ristrutturazione della dimora signorile dei De Bonfond: nello spessore di un muro viene ritrovato il cadaverino di un neonato, presumibilmente soffocato tra il 1860 e i primi anni del ‘900, e il piccolo corpo quasi mummificato è avvolto in uno scialle di seta blu con il ricamo della tanto agognata Cypripedium incognitum. Che è conosciuta con un altro nome dai contadini, le Sabot du Diable, lo zoccolo del diavolo, perché chiaramente associata ad un’idea di malvagità. E infatti sembra che venisse estirpata e sostituita con un’erba velenosa, l’aconito.
Non ci vuole altro perché Julian Wood intensifichi le ricerche- a lui importa ben poco perché sia stato ucciso il neonato, che ormai tutti chiamano Baby Blue, con quello che sembra il nome di un fiore o di una farfalla-, e sempre più la sua caccia all’orchidea pare la mitica ricerca del Graal, l’inseguimento di un’idea di bellezza inafferrabile mentre il passato affiora in vecchie carte negli archivi dei De Bonfond e parla dai ritratti muti degli antenati dell’attuale padrone della magione, e fuori, nei boschi e nei sottoboschi che Julian perlustra, un bestione grigio dilania le sue vittime. Un lupo mannaro? O un licantropo? Che cosa è folklore popolare, che cosa è realtà, visto che dal 1764 sono state registrate aggressioni da parte di una Bestia, che cosa è patologia? Perché c’è una forma di malattia mentale schizoide che trasforma un uomo in un licantropo, e questo è un altro filone interessante in un romanzo che parla di fiori e di vigneti, di falsi nobili e di assassinii, di gelosie e di eredità, alternando il presente del 2004 al passato del 1870. Con qualche ricetta di ottima cucina locale. Stilos ha intervistato Michelle Wan, che è nata in Cina e attualmente vive con il marito, un botanico esperto di orticoltura tropicale, in Canada.

Sul quarto di copertina del libro leggiamo che Lei è nata in Cina, ha vissuto in diversi paesi e si è stabilita in Canada. Eppure ha un nome francese e scrive romanzi ambientati in Francia: può dirci qualcosa della sua vita, che pare essere stata avventurosa?
    Quando frequentavo l’Università di Stanford, ho sorteggiato un biglietto della fortuna in un biscotto cinese e c’era scritto, “Viaggerai molto”. E’ stata una predizione che si è avverata, ho veramente viaggiato molto nella mia vita. Sono nata a Kunming, in Cina, nel bel mezzo di un bombardamento aereo, il che giustifica, forse, la mia riluttanza a fermarmi a lungo nello stesso posto- si è un bersaglio troppo esposto.
Kunming
Poi ho vissuto in India fino all’età di 5 anni, quando la mia famiglia si è trasferita negli Stati Uniti dove sono cresciuta. Ho studiato francese a Tours e dopo ho vissuto per quattro anni in Inghilterra. Da là il passo seguente è stato a Guelph, nell’Ontario, in Canada, la mia “casa” da ormai molti anni. Eppure è proprio da qui che sono iniziati veramente i miei vagabondaggi: un anno a Rio de Janeiro dove ho imparato il portoghese e ho fatto la strana esperienza di insegnare inglese in una scuola giapponese dove non avevo alcuna lingua di comunicazione con i colleghi o con gli studenti. Dopo, per motivi di lavoro o di piacere, sono stata in altri posti, Colombia, Tailandia, Giappone, Nigeria, Kenya, Ghana, Cina, in tutta l’Europa e naturalmente in Francia. Mia sorella ha una casa in Dordogna e mio marito ed io siamo suoi ospiti ogni anno, a primavera. Quanto al mio nome…c’è chi crede nel potere di un nome- diventi il nome che ti hanno dato. Per altri è qualcosa di casuale, sei quello che i tuoi genitori hanno scelto di chiamarti. Ho un nome cinese, Yun Mei, che significa Coraggioso Fior di Susino. Di me si dice che ho fegato, perciò forse cerco di adempiere la parte del mio nome che riguarda il coraggio, ma non mi descriverei come un fiore. D’altra parte qui, in Canada, non pare affatto strano che una persona di etnia cinese si chiami Michelle. Fa parte delle cose che amo di questo paese, l’essere una società intensamente multiculturale.

Le orchidee sono il leit motiv dei suoi romanzi: è stato suo marito, che è un botanico, a suggerirle l’idea?
Limodorum abortivum

    Mio marito Tim è un orticultore tropicale, il che naturalmente gli dà un appoggio botanico. Anche lui ha lavorato dappertutto- Africa e America centrale, Indie occidentali e Canada. E sì, tutto iniziò quando Tim individuò la prima orchidea. Eravamo su un sentiero in una foresta in Francia, quando all’improvviso ha gridato, ‘ma quella è un’orchidea!’. Uno stelo sottile, un fiore viola con i petali ancora chiusi- era un Limodorum abortivum, se è curiosa di saperlo- che cresceva coraggiosamente sul sentiero tra i solchi lasciati dalle ruote dei carri. Da allora ha iniziato a vedere orchidee ovunque e ha passato il resto delle vacanze sdraiato sulla pancia a fotografare orchidee. E io con lui: abbiamo scattato centinaia di foto e ripreso dalle 20 alle 30 specie nelle settimane seguenti. Dopo è venuto il lavoro di identificare i fiori- non conoscevamo le orchidee europee, abbiamo comperato dei libri che ci aiutassero a dare un nome alle orchidee e ci siamo accorti che l’habitat è importantissimo per un’identificazione corretta. E noi, nel nostro entusiasmo di quel primo anno, non avevamo preso nota di dove avessimo scattato le foto. Il nostro lavoro, di seguire la sequenza delle foto sul rullino per classificare i fiori, è quello che ho fatto fare a Julian Wood nel primo romanzo, per ricalpestare il percorso della sorella scomparsa di Mara.

Perché ha scelto le orchidee? Sono belle ma certamente non tra i fiori popolari…
    E’ vero che sono state a lungo associate con l’idea di raro, esotico, costoso. Ho sentito dire però che adesso le orchidee sono la pianta più venduta negli USA dopo la poinsettia, la stella di Natale, e l’industria dell’orchidea tropicale è diventata un’industria da milioni di dollari. Oggi non è più così difficile o costoso riempire la casa di orchidee, si possono comperare in qualunque vivaio.
Inoltre le orchidee hanno sempre avuto un’attrattiva speciale, uno dei miei personaggi dice, “considero l’orchidea come il più sessuale dei fiori…” A Marcel Proust piaceva talmente una specie di Cattleya che coniò una frase “faire Cattleya” per dire “faire l’amour”.
Le orchidee dei miei libri non sono quelle esotiche ma del tipo che cresce selvatico nei campi e nei boschi, sui declivi collinari e in terreno umido, non solo in Dordogna ma in tutto il mondo. Sono piante più modeste delle loro cugine tropicali, ma non meno belle o stupefacenti.

“La maledizione dell’orchidea” è il secondo romanzo in cui Julian Wood cerca la rara Cypripedium incognitum ed iniziamo a pensare che questa orchidea rappresenti qualcosa d’altro: forse la bellezza irraggiungibile?
      La Cypripedium incognitum esiste su molti livelli per Julian e per il lettore che si identifica con lui. Prima di tutto è proprio la cosa reale che è, o la promessa della cosa reale. Per un appassionato di orchidee come è Julian, la possibilità di sorprendere il mondo botanico scoprendo una seconda orchidea Scarpetta in Europa- l’Europa occidentale ne ha solo una, Cypripedium calceolus- è irresistibile. Lo attira il pensiero che il fiore sia là, da qualche parte, che lo aspetta. In secondo luogo è il bisogno di risolvere l’enigma: come è arrivata qui? È una mutante? Cresce solo in questo angolo della Dordogna? O è stata importata e ha attecchito contro ogni previsione? E in questo caso come è arrivata in Francia? La rarità del fiore aggiunge un elemento di pericolosa fragilità alla ricerca appassionata di Julian.
Cypripedium calceolus
Al di là di queste considerazioni, la Cypripedium incognitum non rappresenta tanto la bellezza eterna- anche se la sua bellezza è ammaliante per quanto lievemente sinistra- quanto l’irraggiungibile. Penso che spesso le persone siano definite non da quello che sono riuscite a fare ma da quello che desiderano. Quello che ci sospinge non è quello che già siamo, ma quello che vogliamo diventare. Per Julian la sua orchidea del mistero è una parte mancante di lui stesso. Il che solleva la questione che Julian dovrà affrontare: che cosa succederà una volta che Julian trova la sua orchidea, se la trova? Lo renderà completo, o recederà nel banale, lasciandolo a cercare qualcos’altro per riempire il vuoto?

I contadini hanno un altro nome per l’orchidea rara, lo Zoccolo del Diavolo, e questo è un nome associato con il Male. Nel romanzo precedente il fiore veniva anche chiamato la Scarpetta della Madonna, il nome con cui è conosciuto anche in Italia: perché due nomi diversi e opposti? E’ vero il dettaglio dello Zoccolo del Diavolo o lo ha inventato per la trama?
    Ne “La maledizione dell’orchidea” si suggerisce che l’orchidea cercata da Julian possa essere lo Zoccolo del Diavolo e questo porta Julian e Mara a speculare sulla connessione potenzialmente oscura tra il fiore e qualche specie di bestia leggendaria che si aggirava in passato nella valle. Però l’orchidea di Julian è una specie diversa dalla gialla Scarpetta della Madonna: sono dello stesso genere ma non lo stesso fiore. E’ interessante che Lei osservi il contrasto Bene/Male che c’è nei nomi dei fiori. E sì, tutto quello che riguarda l’orchidea misteriosa di Julian è stato inventato per il romanzo, anche se è botanicamente possibile. E tuttavia si continuano a trovare nuove orchidee, chissà?

A volte abbiamo l’impressione che la sua vera intenzione sia di raccontare ai lettori le meraviglie del mondo della natura: ha scelto il genere del thriller o del mystery per parlare di piante e della natura in modo anticonvenzionale?
    La mia intenzione principale, nei miei romanzi, è di tessere una storia intrigante. Ma, dato che la ricerca dell’orchidea misteriosa si svolge in tutta la serie, il mondo della natura è molto presente: è il mondo delle orchidee che circonda i miei personaggi. E se ne consegue una certa informazione sulla botanica e sulle orchidee, se i miei lettori riescono a godere delle meraviglie della natura tramite il genere del thriller, benissimo. Tuttavia io cerco di comunicare un messaggio di quanto sia vulnerabile il nostro ambiente naturale. Da una prospettiva personale, mio marito ed io, che amiamo camminare nei campi e nelle foreste e che ritorniamo ogni anno negli stessi luoghi in Dordogna, veniamo rattristati dallo scoprire che una delle nostre colonie preferite di fiori è stata sradicata, o magari coperta dall’asfalto o semplicemente è scomparsa.

Mi ha affascinato anche il secondo tema de “La maledizione dell’orchidea”, quello sui lupi mannari e i licantropi. Parte di questo tema ha a che fare con il folklore e parte con la psichiatria: quando e dove ne ha sentito parlare?

    Sono stata per anni ricercatrice in un ospedale psichiatrico e mentre lavoravo mi è capitato di leggere per la prima volta della licantropia, un disordine psichiatrico raro per cui l’individuo vede se stesso assumere caratteristiche da lupo e crede di trasformarsi in un lupo. La licantropia ha una base storica, ci sono casi documentati di persone che affermavano di essere dei lupi o che hanno commesso dei delitti sotto l’illusione di essere dei lupi, facendo sorgere la domanda se i licantropi non fossero proprio i lupi mannari, un germe di verità a dare origine a generazioni di storie dell’orrore. Oppure si trattava del fatto che il lupo, in quanto uno dei maggiori animali predatori d’Europa, trovò la sua espressione culturale nelle leggende popolari? Non voglio dire altro su questo, solo aggiungere che l’idea del lupo mannaro mi è sempre parsa terrificante.

Una delle cose originali delle sue storie poliziesche è che non ci sono detective. E tuttavia c’è una coppia che investiga, un botanico inglese e una canadese. Perché questa scelta? Di non avere un detective- quello che appare è in pensione- e avere invece due stranieri in Francia?
    Suppongo che la mia scelta rifletta la realtà. La Dordogna ha un grosso numero di residenti espatriati, specialmente britannici, e, in una certa qual misura, Julian è basato su mio marito Tim, che è inglese e amante delle piante. E volevo un personaggio franco-canadese, da qui Mara, la straniera perfettamente bilingue. Sapevo anche che la maggior parte dei miei lettori non sarebbe stata francese e ho pensato che sarebbe stato divertente mostrare al lettore la Dordogna attraverso occhi che permettevano una prospettiva più ampia.
Perché dei detective dilettanti invece di membri della gendarmerie o della polizia nazionale? Per prima cosa devo ammettere che è più difficile trattare in maniera credibile con dilettanti che con professionisti del crimine. Con i professionisti non devi giustificare perché i tuoi protagonisti continuino a trovarsi coinvolti in delitti o altri crimini. E’ il loro mestiere. In secondo luogo, gli ufficiali di polizia hanno accesso a tutti i congegni di archivi, sistema giudiziario, collegamenti nazionali e internazionali. Cosa che non hanno i dilettanti. Ecco il motivo della presenza, ad esempio, del flic in pensione, Loulou La Pouge, e di altri gendarmi. Con i loro contatti e conoscenze dall’interno possono avere accesso a informazioni e poi comunicarle a Julian e Mara. Tuttavia i dilettanti hanno almeno un vantaggio sui professionisti del crimine dei romanzi: possono condividere con il lettore medio il loro essere dei dilettanti. Personaggi e lettori entrano nel mistero come uguali. E questo può essere in alcuni modi restrittivo, ma nello stesso tempo molto liberatorio.

Continuerà a scrivere “thriller dell’orchidea”? Io lo spero e sono anche curiosa di vedere dove troverà la prossima ispirazione…
    Il terzo libro della serie uscirà in inglese nell’agosto del 2008 e al momento sto lavorando sul quarto, che porterà me e mio marito Tim- e naturalmente alcuni dei miei personaggi- ai piedi delle colline nelle province dello Yunnan e del Sichuan in Cina in cerca della orchidea del mistero. Ironicamente la mia ricerca mi riporterà per la prima volta nella città dove sono nata, Kunming. L’azione del quarto libro spazierà tra la Francia e la Cina in un arco di tempo di un secolo e mezzo. Non so che cosa succederà dopo il quarto romanzo. Ma certamente continuerò a scrivere.

recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista "Stilos"



                                                                                                          
   
    


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