vento del Nord
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Maj Sjöwall e Per
Wahlöö, “Omicidio al Savoy”
Ed. Sellerio, trad. Renato Zatti, pagg. 327, Euro 14,00
Pare proprio
inevitabile che inizi a scrivere di un romanzo della coppia svedese Maj Sjöwall
e Per Wahlöö dicendo che è stato un piacere leggerlo, anche se so di ripetermi.
Ma è quello che si prova girando le pagine di un libro della serie che ha per
protagonista l’ispettore Martin Beck, che spero siano in molti a conoscere e
apprezzare come protagonista di indagini poliziesche a Stoccolma, alla fine
degli anni sessanta.
Il romanzo
precedente, “L’autopompa fantasma”, iniziava con una introduzione in cui i due
autori (Per Wahlöö è morto nel 1975) chiarivano i loro intenti: “con la
serie ‘ romanzo su un crimine’, che abbiamo pianificato in dieci parti, intendiamo analizzare la società borghese del
benessere; cerchiamo
di guardare la criminalità in rapporto alle dottrine
politiche ed ideologiche di tale società”. E, a mano a mano che continuiamo nella
lettura dei romanzi (questo è il sesto che la casa editrice Sellerio ripropone)
il loro progetto- di scrivere un unico romanzo in dieci puntate- risulta sempre
più chiaro.
“Omicidio
al Savoy” inizia, per l’appunto, con un omicidio: viene ucciso Viktor Palmgren,
magnate, proprietario di varie aziende, speculatore finanziario. Il lettore,
naturalmente, non sa fino alla fine chi abbia ucciso Palmgren e perché, ma
l’attrattiva del romanzo è proprio nell’esplorazione dei possibili motivi,
nello svelare quello che c’è dietro lo scintillio della vita dorata di Palmgren,
nato e cresciuto in un’area di Stoccolma che è ben nota, tra i poliziotti, solo
a Gunvald Larsson (di cui già conosciamo le origini famigliari che si possono
indovinare nella raffinatezza del suo abbigliamento).
Una casa a Stoccolma, una
al mare, una a Malmö, una a
Estoril; una moglie che faceva la modella e aveva oltre vent’anni meno di lui;
parecchie aziende affidate a collaboratori: in che cosa commerciava Palmgren?
Solo aringhe? O magari si trattava anche di traffico d’armi, visto che il lavoro
lo portava così spesso in Africa, in quelle che il Portogallo amava chiamare
“province d’oltremare” e che non erano altro che le colonie? E poi un’agenzia
immobiliare- il paragone tra le abitazioni costruite dall’impresa di Palmgren,
anche se diretta da altri, e la lussuosa dimora in cui la giovane vedova prende
il sole nuda sul bordo della piscina è stridente, nonché rivelatore
dell’ipocrisia di tutta un’ideologia.
Ritroviamo nel romanzo i personaggi che
abbiamo incontrato in quelli precedenti, e li accompagniamo nella loro vita
personale, oltre che nella vicenda poliziesca. Così il nostro pacato ed
equilibrato Martin Beck ha trovato finalmente un alloggio per conto suo e si è
separato dalla moglie, scoprendo che i suoi disturbi di stomaco erano psicosomatici;
Åsa Torell, che
aveva perso il marito ne “Il poliziotto che ride”, incomincia a superare il
dolore; il giovane Skacke è sempre zelante…E non tutto è roseo neppure nel
corpo di polizia svedese: i Catarella esistono ovunque, magari non così
divertenti negli strafalcioni di linguaggio, ma ugualmente corti di
comprendonio.
Il colpevole viene preso, ma il finale è
molto amaro- per noi e per Martin Beck. Forse avremmo preferito che il delitto
restasse impunito. Forse anche Beck (il libro si chiude con la frase, “Si
chiedeva se sarebbe riuscito a dormire sul treno”) ne sarebbe stato più
contento.
Ah,
e a noi dispiace qualcos’altro: che ci siano solo altri quattro romanzi dei
“maestri” del giallo svedese da leggere.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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