Voci da mondi diversi. Russia
la Storia nel romanzo
romanzo 'romanzo'
FRESCO DI LETTURA
Ludmila Ulitskaya, “Una storia russa”
Ed. Bompiani,
trad. Emanuela Guercetti, pagg. 640, Euro 25,00
Unione Sovietica. 5 marzo 1953. Quando la
radio dà la notizia, è mattina presto e per tre bambine, Tamara, Galja e Olga,
inizia un giorno come gli altri. Non lo è. E’ morto Stalin. Da almeno tre
giorni si bisbigliava che fosse ammalato, che fosse già morto ma che si
tardasse a dirlo. Qualunque adulto di quella generazione avrebbe ricordato per
sempre che cosa stesse facendo quando aveva saputo che ‘il piccolo padre’ non
c’era più- come, negli anni a venire, chiunque avrebbe ricordato come la sua
vita si fosse bloccata nel momento in cui era stata annunciato l’assassinio di
Kennedy, o la caduta del muro di Berlino, o l’attacco alle Torri gemelle. La
sensazione di paura, e poi il pensiero che il futuro non poteva avere in serbo
niente di peggio del passato.
Il romanzo “Una storia russa” di Ludmila
Ulitskaya- forse la più grande scrittrice russa contemporanea- è una storia
fatta di tante storie, come spesso avviene nei romanzi russi, che inizia con
l’amicizia di tre ragazzi, nata sui banchi di scuola e destinata a durare tutta
la vita, con alti e bassi, con periodi di totale estraneità ma con la
consapevolezza di avere amici di cui potersi fidare. E in qualche maniera la
vita porterà i tre ragazzi- Ilja, Sanja e Micha, ad incontrare le tre bambine
delle prime pagine del romanzo.
Mentre leggevo, continuavo a chiedermi che
cosa sia che rende così chiaramente ‘russo’ il romanzo di uno scrittore russo.
Perché è innegabile che ci sia qualcosa di diverso, che mai, aprendo una pagina
a caso, anche se i nomi fossero solo delle lettere per non far capire la
nazionalità dei personaggi, potremmo pensare che un romanzo russo sia- che so-
inglese, o spagnolo, o, men che meno, italiano. C’è un respiro ampio nel
romanzo russo, una ricchezza di storie e di personaggi, una assenza di
leggerezza che non vuol dire pesantezza e noia, un coinvolgimento profondo
nella politica che è l’essenza stessa della quotidianità- non è possibile
vivere senza prendere posizione in ogni momento, in ogni scelta. E, nel romanzo
della Ulitskaya, c’è aria di cultura, c’è sete di idee- si potrebbe pensare che
la Storia stessa abbia foggiato la personalità della gente.
Forse quanto più un
regime è totalitario e vuole condurre il pensiero su un unico binario, tanto
più qualcosa si inceppa, il pensiero segue la sua strada, i libri di cui è
vietata la circolazione riaffiorano nella samizdat
(la letteratura ‘sotterranea’, spesso scritta a mano) o nella tamizdat (quella che è riuscita a
superare i confini e ad essere pubblicata all’estero), le poesie si imparano a
memoria e passano da una mente all’altra, le fotografie (Ilja riceve in regalo
la prima macchina fotografica dal padre quando è ancora un bambino- diventerà
il suo tesoro per tutta la vita) documentano ciò di cui non si parla, la musica
dà voce ai sentimenti nascosti (Sanja sarebbe potuto diventare un grande
musicista se non avesse avuto la mano lesionata in un litigio a scuola),
l’amore dà la forza di combattere malattie e morte (Olga vince il tumore che la
consuma quando riceve una lettera da Ilja in esilio), l’amore non è solo
passione ma complicità, amicizia, condivisione. E per i tre ragazzi diventati
uomini, più che i genitori (per lo più assenti, parecchi scomparsi nelle
famigerate purghe), l’esempio luminoso resterà sempre l’insegnante che aveva
perso un braccio in guerra, l’uomo non molto più vecchio di loro che li portava
in percorsi letterari in giro per Mosca, che stuzzicava le loro menti,
sollecitava letture e discussioni- un professore carismatico quanto quello del
film “L’attimo fuggente” (‘oh capitano, mio capitano!’).
Chruscev,
Breznev succedono a Stalin. L’atmosfera di paura perenne continua. A turno gli
amici sentono i fatidici colpi sulla porta che annunciano la visita del KGB,
sono interrogati, nascondono scritti compromettenti, qualcuno fugge in Siberia,
qualcuno emigra in Occidente, qualcuno riesce ad avere il permesso di tornare
alla terra degli avi in Israele, il fragile Sanja accetta un finto matrimonio
per andare in America.
Un romanzo tumultuoso e affascinante tra le
cui pagine si aggirano le ombre dei grandi scrittori che abbiamo amato, Pasternak
e Solzhenitsyn, Puskin e Nabokov e Brodskij.
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