Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
la Storia nel romanzo
FRESCO DI LETTURA
Anthony
Marra, “La confessione di Roman Markin”
Ed. Frassinelli, trad. Maria Luisa Cantarelli, pagg. 310, Euro
19,50
Avete presente il gioco
del domino? Ecco, la struttura del nuovo romanzo di Anthony Marra, “La
confessione di Roman Markin”, assomiglia al modo in cui si compongono le
tessere del domino: otto storie, più una in una sorta di ‘Intervallo’, che solo
in apparenza sono racconti a sé, perché c’è in ognuna un personaggio che
raccoglie la fiaccola, forse non è direttamente collegato con quello della
storia precedente, ma in ogni caso lo riconosciamo, e quel personaggio segue il
filo rosso che si snoda nel romanzo per quasi ottant’anni di Storia dell’Unione
Sovietica ridiventata poi Russia, tra Leningrado, una Grozny che cerca di
risorgere dalle macerie e Kirovsk, la città dalle dodici fonderie di nichel
situate intorno ad un lago di scorie industriali, dove l’inquinamento si
rapprende in un soffitto che non lascia vedere le stelle, la pioggia brucia la
pelle e un uomo su due muore di tumore ai polmoni.
E’ il 1937 all’inizio
del libro. Roman Markin, studioso di arte e aspirante pittore, è un ‘censore di
immagini’: dapprima erano poche le fotografie che gli venivano affidate perché
le ritoccasse, cancellando volti ormai sgraditi a Stalin per sostituirli con
altro, poi sono diventate cumuli. Markin è abilissimo, è nelle grazie di Stalin
perché riesce nell’impresa di far sembrare lisce le sue guance butterate dal
vaiolo e di non farlo invecchiare mai. Che cosa gli ha preso il giorno che, invece
di eliminare del tutto la ballerina che si libra leggiadra sul palcoscenico del
Mariinskj, lascia una sua mano sospesa nell’aria? Per questo errore Markin
viene arrestato, torturato, accusato di essere una spia polacca. E in altre
storie seguenti conosceremo la bella Galina, nipote della ballerina, Miss
Siberia, l’attrice che sposa il quattordicesimo uomo più ricco della nuova
Russia. Che compra per lei- a Grozny- un quadro del pittore ottocentesco
Zacharov. Rappresenta un prato verde su una collina, con un muretto bianco e un
pozzo (due ragazzi russi saranno tenuti prigionieri in fondo a quel pozzo, uno
dei due era stato il primo amore di Galina ed era saltato in aria su una mina,
proprio su quella collina). Roman Markin aveva dovuto mettere le mani su quel
quadro, dipingendo in un angolo il capo del partito di Grozny. E non era stato
l’unico a ritoccarlo- il curatore del Museo di Arte Locale di Grozny, quando
aveva dovuto restaurare uno squarcio nel quadro dopo la prima guerra di
Cecenia, aveva dipinto sul rappezzo due piccole figure che si inerpicavano sul
prato, la moglie e il figlio che credeva di aver messo al sicuro ed erano morti
per una mina.
Ogni storia è un
frammento di Storia, di tempi passati, lontani o più vicino a noi, di menzogne
che ci vengono raccontate, di dolori, di guerre, di stratagemmi per
sopravvivere, di sensi di colpa che ci perseguitano per tutta la vita (era
responsabile della morte dei genitori la bambina che aveva detto che sua madre
aveva rubato un quintale di farina? un quintale addirittura? o il bambino di
quattro o cinque anni che aveva detto che suo zio- Roman Markin- era una
spia?). I personaggi sono tanti, si impara a riconoscerli, a collocarli nella
posizione giusta, aiutati dal filo rosso, dagli oggetti che riappaiono- la foto
della ballerina, la cassetta di musica che il fratello ha dato a Kolja prima
che partisse per la Cecenia, la fotografia di Kolja con il fratellino e la
mamma che indossano assurdi costumi leopardati per fare il bagno nel lago
inquinato, il quadro con la collina.
E- il dettaglio più angosciante e
inquietante- il volto di Vaska, il fratello morto in una purga (chi lo ha
denunciato?) che Roman Markin inserisce in tutte
le fotografie che deve correggere. Per ricordarlo- come era e come sarebbe
diventato-, per salvarlo dal nulla, per farlo vivere per
sempre, per far tacere una voce che lo accusa. Ci riesce, Roman Markin. Una
studiosa di Grozny (anche lei con la sua storia dietro) scrive una tesi su quel
volto misterioso che appare in tutte quelle immagini dell’archivio. E un figlio
ormai anziano conoscerà per la prima volta le fattezze del padre.
Dopo “La fragile
costellazione della vita”, Anthony Marra ci ha dato un altro bellissimo libro,
insolito, indimenticabile.
Nessun commento:
Posta un commento