Un giorno. Un paese
Voci da mondi diversi. Medio Oriente.
il libro ritrovato
il libro ritrovato
Susan Abulhawa, “Nel segno di David”
Ed. Sperling & Kupfer, trad.
Claudia Lionetti, pagg. 365, Euro 17,00
Titolo originale, The Scar of David
Con la conquista israeliana della
Palestina nel 1967 non potemmo più tornare a Gerusalemme. Non ci era permesso.
Durante il primo giorno di occupazione Israele demolì tutti i circa duecento
antichi palazzi del quartiere marocchino, dando alle centinaia di residenti
poche ore di preavviso per evacuare le loro case, le loro vite, la loro storia.
Suo padre glielo ripeteva sempre, che l’avevano chiamata Amal, con la a
lunga, perché così acquistava il significato al plurale: voleva dire
“speranze”, tutte le speranze che erano necessarie ai palestinesi per
continuare a voler vivere. Si chiama Amal la protagonista che- ad un certo
punto- diventa la voce narrante del romanzo “Nel segno di David” della
scrittrice palestinese Susan Abulhawa. In realtà il titolo originale è “La
cicatrice di David”, perché il fratellino di Amal, rapito da un israeliano per
essere “regalato” alla moglie sterile, aveva una cicatrice sul viso e verrà
riconosciuto da quella cicatrice quasi vent’anni dopo, durante la guerra dei
sei giorni, dal fratello maggiore. Mentre lui neppure sa di essere arabo, di
essersi chiamato Ibrahim prima che i nuovi genitori gli dessero il nome di
David, di trovarsi davanti ad un nemico che è in realtà suo fratello. E allora
il segno di quella vecchia ferita diventa qualcosa di più di un marchio di
riconoscimento, è la cicatrice mai rimarginata di tutta una nazione, è una
linea di frontiera che una volta non esisteva, sarà un muro eretto come un
recinto.
“La storia la scrivono i vincitori”, è una
frase citata da Goering a Norimberga, e fa un effetto strano riferirla in
questo contesto in cui i vincitori appartengono al popolo che i nazisti avevano
progettato di sterminare. La
Storia dei vincitori- gli Israeliani- parla di una terra
promessa da cui sono stati espropriati ma loro di diritto, unica garanzia di
vita dopo i pogrom, le uccisioni di massa e i forni che li hanno spinti a
lasciare l’Europa. La Storia
dei vinti- i palestinesi- parla del primo grande sopruso di aver dovuto
abbandonare, nel 1948, le case e la terra in cui vivevano da un tempo di cui si
è persa la memoria, di essere stati sospinti come bestiame nei campi profughi,
con scene di violenza che sono pari a quelle di stampo nazista. La Storia contenuta nei libri
cita il trattato di Balfour che ha creato le premesse per mezzo secolo di
guerre e guerriglie.
Il libro di Susan Abulhawa racconta la
storia dei vinti attraverso quella della famiglia di Amal, con due grandi scene
di apocalittica violenza che segnano i due climax del romanzo: la prima è nel
1948, quando la famiglia di Amal deve lasciare Ein Hod, fondata da un generale
dell’esercito di Saladino nel 1189, e culmina nel rapimento del bambino; la
seconda è nel 2002, quando gli israeliani distrussero Jenin, il campo profughi
che era cresciuto a dismisura in mezzo secolo di “provvisorietà”. Covo di
terroristi, secondo Israele, ma la rappresaglia operata, che non fa distinzione
tra attivisti, vecchi, donne e bambini, è di infausta memoria.
E’ un romanzo composito, “Il segno di
David” di Susan Abulhawa, a tratti romanzo storico e a tratti saga famigliare.
C’è un tono nostalgico nella rievocazione di un passato dorato e scomparso, una
vena sentimentale nelle storie d’amore della protagonista, del fratello,
dell’amica, una indignazione che unisce la rabbia al dolore nel racconto di
fatti che non sono stati riferiti in maniera corretta dai media. Ed è sempre
opportuno leggere la storia nella versione dei vinti, ascoltare un’altra voce.
la recensione è stata pubblicata su www.alice.it, devo però aggiungere che in seguito il romanzo di Susan Abulhawa è stato rivisto dall'autrice e ripubblicato dalla casa editrice Feltrinelli con il titolo "Ogni mattina a Jenin".
Susan Abulhaw |
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