prima guerra mondiale
il libro ritrovato
Marc Dugain, “La stanza degli ufficiali”
Ed. Vertigo, trad. Serena
Marrocco, pagg. 156, Euro 14,00
Non ci sono specchi nella stanza degli
ufficiali. E non per impedirgli la vanità, o di fare la fine di Narciso. Ma
perché sarebbero realisticamente mendaci, perché il volto che rifletterebbero
sarebbe, sì, quello sorretto dal loro collo, ma non quello che ricordano. Tutti
coloro che sono ricoverati in quella stanza sono stati orrendamente sfregiati
da ferite di guerra- sono dei mostri. Ecco, l’abbiamo detto. E questo è il tema
del romanzo “La stanza degli ufficiale” di Marc Dugain (nato in Senegal nel
1957 e trasferitosi in Francia all’età di sette anni). Come si fa a continuare
a vivere, ad essere grati per non essere morti, quando la vista di sé è diventata
penosa anche a noi stessi, per non parlare della reazione che provoca negli
altri?
Il racconto è fatto in prima persona da
Adrien Fournier: La guerra del
Quattordici io non l’ho conosciuta. Inizia con questa frase, per procedere
spiegando che non ha conosciuto l’inferno delle trincee, il fango e la
sporcizia, i topi e la pioggia senza fine. In teoria, essendo arruolato nel
Genio, Adrien avrebbe dovuto essere al riparo dai pericoli. Successe nei primi
giorni, durante una ricognizione. Una scheggia di granata gli portò via una
parte della faccia, il palato, parte del naso. E’ così che la guerra appena
iniziata è già anche finita per Adrien. Nel delirio dell’incoscienza sente
qualcuno, vicino al suo lettino, che parla di una medaglia, la Croce di Ferro, la Legion d’Onore. Suona come
una beffa assurda.
Adrien non muore, passerà in ospedale tutti
gli anni di guerra. Prima la lotta per strapparsi dalla morte: è giovane, è
robusto, ce la fa. Poi il calvario delle operazioni, i trapianti- le ossa di un
bambino nato morto attecchiscono, no, non attecchiscono- per metterlo in grado
almeno di inghiottire, poi di farfugliare qualcosa. E intanto bisogna scrivere
a casa, dire e non dire, tenere lontano le sorelle che vorrebbero venirlo a
visitare. Non è solo, Adrien, nella stanza in cui è ricoverato. Ci sono altri
in condizioni un poco migliori o un poco peggiori delle sue. E insieme a loro
Adrien si inoltra nella nuova vita, perché è più facile decidere insieme a due
amici che è venuto il momento di uscire per le strade, di andare a puttane, di
affrontare lo sguardo di chi certamente non li riconoscerà. L’orrore, la
repulsione. Di vincere la tentazione del suicidio. Di desiderare un futuro. Di
credere di poter amare ancora e di poter suscitare amore.
Dietro, dietro questa storia di forza
morale, c’è una denuncia tremenda della guerra, ne “La stanza degli ufficiali”.
Della retorica di tutte le guerre che iniziano sempre, da ogni lato degli
schieramenti, con la convinzione che non durerà molto, al massimo un paio di
settimane. Che attirano i giovani con il mito dell’eroe che difende la patria,
le donne e i bambini. E poi, quando qualcosa va male, la stessa patria che è
fatta di uomini, donne e bambini, non sopporta di posare gli occhi sulle
menomazioni inflitte dalla guerra, perché paiono una vergogna. E, a distanza di
anni, quel minimo di pietà che veniva riservato ai ‘grandi feriti’ si trasforma
in scherno e lazzi. Rendendo inutile tutta la sofferenza e lo spreco della
vita.
Un libro lineare, drammatico, asciutto,
forte e bello.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove. net
Marc Dugain |
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