Voci da Mondi diversi. Medio Oriente
il libro ritrovato
Elif Shafak, “La bastarda di Istanbul”
Ed. Rizzoli, trad. Laura
Prandino, pagg. 385, Euro 18,50
Titolo originale, The Bastard of Istanbul
Le storie di famiglia possono
intrecciarsi in modo tanto profondo che ciò che è accaduto generazioni prima
può avere conseguenze su dettagli apparentemente irrilevanti nel presente. Il
passato è tutto tranne che concluso. Se Levent Kazanci non fosse diventato un
uomo così amaro e prepotente, suo figlio Mustafa sarebbe stato una persona
diversa? E se generazioni prima, nel 1915, Shushan non fosse rimasta orfana,
Asya, oggi, sarebbe lo stesso una bastarda?
Già nel titolo, “La bastarda di Istanbul”,
troviamo un accostamento di parole- un nome e una città- che, in qualche
maniera, ci suonano dissonanti. Perché, pur consapevoli di una
generalizzazione, associamo la città turca con la religione musulmana di cui
conosciamo la severità nei confronti delle donne e intuiamo che un figlio
bastardo deve portare sulle spalle un greve fardello. Ma anche che ci deve
essere stata una buona dose di coraggio per una donna, per mettere al mondo una
figlia bastarda. E’ come se il titolo fosse un’anticipazione di idee e modi di
vita opposti, che si attraggono e si respingono. Il libro inizia con una figura
femminile che corre, in minigonna e tacchi alti, sotto la pioggia. E’ bella, è
giovane, è oggetto di attenzioni. Lei è spavalda e un poco ribelle- lo sarà in
tutto il libro. Qui, nel primo capitolo, sta andando in una clinica ad
abortire: non se ne farà niente, nascerà Asya, una delle due protagoniste
principali del romanzo. L’altra protagonista è una bimba in Arizona, figlia di
madre americana e padre armeno che si sono appena separati. La bimba si chiama
Armanoush Tchakhmakhchian (un cognome volutamente quasi impronunciabile) e sua
madre, per vendicarsi della famiglia invadente dell’ex marito, non trova niente
di meglio da fare che sposare in seconde nozze un turco.
Questi gli antefatti di una storia che
intreccerà le vite delle due ragazze, rivelando legami più vecchi ancora,
perché gli armeni un tempo convivevano pacificamente con i turchi- fino alla
prima guerra mondiale, fino alle persecuzioni, le deportazioni, il genocidio
mai riconosciuto dalla Turchia, la diaspora. La vita è piena di strane
coincidenze e uno scrittore può appropriarsene a piene mani: chi può dire che
qualcosa è impossibile? E così, come in una rivisitazione del classico romanzo
ottocentesco in chiave turca, il patrigno di Armanoush è lo zio di Asya, unico
maschio con quattro sorelle della famiglia Kazanci; un gioiello che apparteneva
alla bisnonna di Armanoush riappare nei cassetti di una zia di Asya, e la nonna
di Armanoush è la bambina salvata per miracolo in una delle marce della morte,
finita in un orfanotrofio, andata sposa ad un turco (non diciamo a chi) finché
uno dei fratelli non l’aveva ritrovata e portata via con sé, in America.
Non abbiamo svelato niente che il lettore
non scopra quasi subito nelle pagine del romanzo, costruito su capitoli che
alternano uno sguardo sull’interno della famiglia turca a Istanbul e uno sulla
famiglia armena in America. E ci colpisce la somiglianza di vita e
comportamenti, la condivisione di ricette e di alcune tradizioni, a
sottolineare un passato comune. Le donne giocano il ruolo più importante in
entrambe le famiglie, nonostante la palese venerazione per gli uomini di casa,
ed Elif Shafak accentua la caratterizzazione di ogni figura attribuendo loro
dei tratti che le differenziano e che vengono continuamente sottolineati e
ripetuti, impedendoci di confonderle- come faceva Dickens nei suoi
affollatissimi romanzi. Per le donne Kazanci, poi, la diversità assume anche un
altro significato: una zia porta il velo, la madre di Asya sfoggia una massa di
ricci ribelli, un’altra zia cambia di continuo acconciatura e colore dei
capelli; una è insegnante, una predice il futuro, una fa tatuaggi…tutto è
possibile a Istanbul, la religione non impone regole ferree.
Quando Armanoush
arriva a Istanbul in cerca delle sue radici e rivela di essere armena raccontando
la sorte della sua famiglia in esilio forzato, la reazione che incontra, sia
nella famiglia Kazanci sia tra gli intellettuali che le presenta Asya, è
sconcertante- c’è chi non sa niente, chi nega, chi pensa che ormai sono
avvenimenti del passato ed è inutile ritirarli fuori. Ed è qui che il romanzo
di Elif Shafak, che in Turchia ha subito una condanna per questo libro,
acquista peso e consistenza pur nel tono scanzonato e ricco di humour: il
passato non è mai passato, ai morti si può dare pace solo quando si riconosce
la violenza che è stata loro inflitta, le ingiustizie non possono essere
risanate ma ci se ne deve assumere responsabilità.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
Elif Shafack |
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