fresco di lettura
Giorgio Fontana, “Morte di un uomo felice”
Ed. Sellerio, pagg. 257, Euro
14,00
Non abbiamo dimenticato Roberto Doni, il
magistrato sessantacinquenne protagonista di “Per legge superiore” di Giorgio
Fontana. Lo incontriamo di nuovo, giovane però, nell’appena pubblicato “Morte
di un uomo felice”, non più protagonista ma personaggio secondario, amico di
Giacomo Colnaghi, sostituto procuratore a Milano. Per essere amici, due uomini
che svolgono quel tipo di lavoro devono condividere le stesse idee: le parole
rivolte a Doni da una giornalista- “Non smettiamo di essere magistrati o
giornalisti quando ci infiliamo il pigiama”- sono adeguate anche per Colnaghi.
Fin troppo, anzi.
E’ l’estate del 1981. Gli Anni di Piombo stanno per finire, ma c’è
ancora molta violenza. A Milano,a gennaio, è stato ucciso un chirurgo, Vissani,
esponente in vista dell’ala più a destra della democrazia cristiana. Questo
Vissani non piaceva a Giacomo Colnaghi. Quando gli era capitato di incontrarlo,
Vissani si era lasciato scappare una frase infelice, che il governo doveva
usare il pugno duro con i giovani. Ora, durante una cerimonia in
commemorazione, il figlio quindicenne di Vissani aveva detto che lui, se solo
avesse potuto, lo avrebbe ammazzato con le sue mani, l’assassino di suo padre.
Lui, il figlio, voleva vendetta.
Ecco, è su questo circolo chiuso di odio che
si arrovella il magistrato Colnaghi. Giovane, sposato e con due bambini
piccoli, Giacomo Colnaghi è un cattolico osservante. La legalità, per lui, è
strettamente connessa con l’etica cattolica cristiana. Ogni presa di posizione
passa attraverso la sua coscienza. E’ per questo che ci ricorda Roberto Doni
con cui una sera Colnaghi esce a cena, ricordando- in una sorta di flashback-
l’inizio della loro amicizia, quando entrambi frequentavano l’università. Doni
e Colnaghi appartenevano a due ambienti diversi, e questo è un altro fattore
importante nella posizione di Colnaghi in quanto magistrato. Se lo scopo dei terroristi
è abbattere la società borghese, se hanno segnato sulla lista nera personalità
che sono, per loro, servi di un governo che rifiutano, ebbene, Giacomo Colnaghi
non è un borghese. Giacomo Colnaghi è
la prova di dove si possa arrivare con la forza di volontà e l’impegno. La
famiglia Colnaghi è di Saronno, suo padre era operaio, aveva partecipato ai
primi scioperi, era stato un partigiano. Lo avevano preso dopo un’azione, era
morto quando Giacomo era piccolissimo- non ha alcun ricordo di lui, tranne un foglietto
di carta che tiene in tasca come un tesoro, o un talismano. La frase che c’è
scritta concluderà gli intermezzi dedicati alla vita di Ernesto Colnaghi, la
storia di un uomo che era un terrorista
per i tedeschi che occupavano l’Italia dopo il 1943. Colnaghi non è un borghese
ed è un magistrato che- come Doni- si sforza di capire. E’ necessario capire
per spezzare il cerchio dell’odio e della vendetta.
“Quei morti per lei non contano?”
“Contano moltissimo, ma non è così che si
risolve il problema. E tutta questa violenza chiederà vendetta. La sta già
chiedendo. La gente comune a cui avete tolto un padre, o un fratello, o un
amico; i deboli di cui vorrebbe farsi difensore e che mai hanno pensato di
mettersi a sparare; tutti, tutti stanno chiedendo vendetta. Andrà sempre
peggio, lo capisce? State facendo il gioco degli oppressori”.
C’è un Giacomo Colnaghi magistrato e un Giacomo Colnaghi marito e padre,
in “Morte di un uomo felice”. Ho ammirato il Colnaghi del Palazzo di Giustizia,
confesso di aver ammirato molto di meno il Colnaghi in famiglia. C’è un certo
scollamento tra l’uomo che arde di passione legalitaria ed etica e il marito
tiepido che a volte si sente inconsciamente colpevole nei confronti del suo
primogenito, un bambino fragile e pavido a cui lui non ha molto tempo da
dedicare, nel suo pendolarismo settimanale tra Milano e Saronno. C’è poi un
altro Colnaghi ancora e che assomiglia di più al primo, ed è quello che
frequenta un bar per ascoltare le storie dei poveracci che sono clienti abituali,
come per rituffarsi tra la gente a cui forse assomigliava suo padre.
Si arriverà a prendere l’assassino del
chirurgo Vissani. Il resto è già nel titolo, “Morte di un uomo felice”, come
“Cronaca di una morte annunciata” del grande Márquez che è scomparso da poco.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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