Voci da mondi diversi. Cina
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Michelle Wan, “La maledizione dell’orchidea”
Ed. Garzanti, trad. Barbara
Bagliano, pagg. 350, Euro 18,60
Aprile 2004. In una villa nel
Sud-Ovest della Francia dei muratori trovano il cadavere di un neonato in un
muro che stanno demolendo. Christophe de Bonfond, proprietario della villa, non
vuole che sia macchiato il nome della sua famiglia, ma viene assassinato l’uomo
che lui stesso aveva incaricato di ricerche genealogiche, mentre una bestia che
sembra un enorme lupo assalta il bestiame e azzanna i contadini della zona. C’è
un legame tra questi fatti? E l’orchidea rara ricamata sullo scialle che
avvolge il bambino può servire da traccia?
INTERVISTA A MICHELLE WAN, autrice de “La maledizione dell’orchidea”
Non sempre è
vero quello che dice l’incantevole Giulietta parlando nella notte, “Che cosa
c’è in un nome? Quella che noi chiamiamo rosa, anche chiamata con un’altra
parola avrebbe lo stesso odore soave…”. Prendiamo l’orchidea, ad esempio, il
fiore che serve da filo conduttore negli originali romanzi con delitto della
scrittrice cinese Michelle Wan. Se invece di ‘orchidea’ (che peraltro viene dal
greco órchis, testicolo, con
riferimento alla forma dei bulbi) che ha un suono leggermente gutturale,
chiamiamo lo stesso fiore con il nome latino Cypripedium incognitum, aggiungendovi l’aggettivo che indica la
specie rara ricercata dal protagonista dei romanzi, si crea un’aura di mistero
intorno al fiore, solleticando la nostra curiosità, giustificando l’ossessione
monomaniacale che Julian Wood ha nei suoi confronti, l’interesse esclusivo che
lo porta a domandarsi, citando Linneo, “se gli uomini che rischiano così
disperatamente la vita e ogni altra cosa per collezionare piante sono sani di
mente.”
Si annuncia come una ricerca senza fine, quella di Julian Wood che, nel
precedente romanzo della Wan, “Il mistero dell’orchidea selvatica”, aveva
aiutato la canadese Mara Dunn a trovare il responsabile della morte della
gemella Bedie, scomparsa in Dordogna vent’anni prima. Trovando pure, tra le
fotografie scattate da Bedie prima di essere assassinata, un’immagine del raro
fiore: ce ne sarà ancora qualche esemplare a distanza di tanto tempo? E
l’indagine di tipo poliziesco si era intrecciata ad un’indagine squisitamente
botanica, come avviene anche nel nuovo romanzo, “La maledizione dell’orchidea”.
Mara Dunn, che si occupa di ristrutturazioni d’interni e che ora ha un legame
sentimentale con il botanico e architetto di giardini Julian Wood, trova ogni
tanto pedanti le spiegazioni di lui. O forse lo dice perché le orchidee sono le
sue rivali e le parole di Wood sembrano accarezzare i fiori- noi lettori
troviamo affascinante, nonché molto originale, questo filone naturalistico che
ci parla di habitat, di petali e
sepali, impollinazione e colori straordinari. L’inventiva di Michelle Wan per
costruire una nuova storia legata alle orchidee ricorre ad una macabra scoperta
durante i lavori di ristrutturazione della dimora signorile dei De Bonfond:
nello spessore di un muro viene ritrovato il cadaverino di un neonato, presumibilmente
soffocato tra il 1860 e i primi anni del ‘900, e il piccolo corpo quasi
mummificato è avvolto in uno scialle di seta blu con il ricamo della tanto
agognata Cypripedium incognitum. Che
è conosciuta con un altro nome dai contadini, le Sabot du Diable, lo zoccolo del diavolo, perché chiaramente
associata ad un’idea di malvagità. E infatti sembra che venisse estirpata e
sostituita con un’erba velenosa, l’aconito.
Non ci vuole altro perché Julian
Wood intensifichi le ricerche- a lui importa ben poco perché sia stato ucciso
il neonato, che ormai tutti chiamano Baby Blue, con quello che sembra il nome
di un fiore o di una farfalla-, e sempre più la sua caccia all’orchidea pare la
mitica ricerca del Graal, l’inseguimento di un’idea di bellezza inafferrabile
mentre il passato affiora in vecchie carte negli archivi dei De Bonfond e parla
dai ritratti muti degli antenati dell’attuale padrone della magione, e fuori,
nei boschi e nei sottoboschi che Julian perlustra, un bestione grigio dilania
le sue vittime. Un lupo mannaro? O un licantropo? Che cosa è folklore popolare,
che cosa è realtà, visto che dal 1764 sono state registrate aggressioni da
parte di una Bestia, che cosa è patologia? Perché c’è una forma di malattia
mentale schizoide che trasforma un uomo in un licantropo, e questo è un altro
filone interessante in un romanzo che parla di fiori e di vigneti, di falsi
nobili e di assassinii, di gelosie e di eredità, alternando il presente del
2004 al passato del 1870. Con qualche ricetta di ottima cucina locale. Stilos
ha intervistato Michelle Wan, che è nata in Cina e attualmente vive con il
marito, un botanico esperto di orticoltura tropicale, in Canada.
Sul quarto di copertina del libro leggiamo che Lei è nata in Cina, ha
vissuto in diversi paesi e si è stabilita in Canada. Eppure ha un nome francese
e scrive romanzi ambientati in Francia: può dirci qualcosa della sua vita, che
pare essere stata avventurosa?
Quando frequentavo
l’Università di Stanford, ho sorteggiato un biglietto della fortuna in un biscotto
cinese e c’era scritto, “Viaggerai molto”. E’ stata una predizione che si è
avverata, ho veramente viaggiato molto nella mia vita. Sono nata a Kunming, in
Cina, nel bel mezzo di un bombardamento aereo, il che giustifica, forse, la mia
riluttanza a fermarmi a lungo nello stesso posto- si è un bersaglio troppo
esposto.
Poi ho vissuto in India fino all’età di 5 anni, quando la mia famiglia
si è trasferita negli Stati Uniti dove sono cresciuta. Ho studiato francese a
Tours e dopo ho vissuto per quattro anni in Inghilterra. Da là il passo
seguente è stato a Guelph, nell’Ontario, in Canada, la mia “casa” da ormai
molti anni. Eppure è proprio da qui che sono iniziati veramente i miei
vagabondaggi: un anno a Rio de Janeiro dove ho imparato il portoghese e ho fatto
la strana esperienza di insegnare inglese in una scuola giapponese dove non
avevo alcuna lingua di comunicazione con i colleghi o con gli studenti. Dopo,
per motivi di lavoro o di piacere, sono stata in altri posti, Colombia,
Tailandia, Giappone, Nigeria, Kenya, Ghana, Cina, in tutta l’Europa e
naturalmente in Francia. Mia sorella ha una casa in Dordogna e mio marito ed io
siamo suoi ospiti ogni anno, a primavera. Quanto al mio nome…c’è chi crede nel
potere di un nome- diventi il nome che ti hanno dato. Per altri è qualcosa di
casuale, sei quello che i tuoi genitori hanno scelto di chiamarti. Ho un nome
cinese, Yun Mei, che significa Coraggioso Fior di Susino. Di me si dice che ho
fegato, perciò forse cerco di adempiere la parte del mio nome che riguarda il
coraggio, ma non mi descriverei come un fiore. D’altra parte qui, in Canada, non
pare affatto strano che una persona di etnia cinese si chiami Michelle. Fa
parte delle cose che amo di questo paese, l’essere una società intensamente
multiculturale.
Kunming |
Le orchidee sono il leit motiv dei suoi romanzi: è stato suo marito,
che è un botanico, a suggerirle l’idea?
Limodorum abortivum |
Mio marito Tim è un
orticultore tropicale, il che naturalmente gli dà un appoggio botanico. Anche
lui ha lavorato dappertutto- Africa e America centrale, Indie occidentali e
Canada. E sì, tutto iniziò quando Tim individuò la prima orchidea. Eravamo su
un sentiero in una foresta in Francia, quando all’improvviso ha gridato, ‘ma
quella è un’orchidea!’. Uno stelo sottile, un fiore viola con i petali ancora
chiusi- era un Limodorum abortivum,
se è curiosa di saperlo- che cresceva coraggiosamente sul sentiero tra i solchi
lasciati dalle ruote dei carri. Da allora ha iniziato a vedere orchidee ovunque
e ha passato il resto delle vacanze sdraiato sulla pancia a fotografare
orchidee. E io con lui: abbiamo scattato centinaia di foto e ripreso dalle 20
alle 30 specie nelle settimane seguenti. Dopo è venuto il lavoro di
identificare i fiori- non conoscevamo le orchidee europee, abbiamo comperato
dei libri che ci aiutassero a dare un nome alle orchidee e ci siamo accorti che
l’habitat è importantissimo per un’identificazione corretta. E noi, nel nostro
entusiasmo di quel primo anno, non avevamo preso nota di dove avessimo scattato
le foto. Il nostro lavoro, di seguire la sequenza delle foto sul rullino per
classificare i fiori, è quello che ho fatto fare a Julian Wood nel primo
romanzo, per ricalpestare il percorso della sorella scomparsa di Mara.
Perché ha scelto le orchidee? Sono belle ma certamente non tra i fiori
popolari…
E’ vero che sono state a
lungo associate con l’idea di raro, esotico, costoso. Ho sentito dire però che
adesso le orchidee sono la pianta più venduta negli USA dopo la poinsettia, la
stella di Natale, e l’industria dell’orchidea tropicale è diventata
un’industria da milioni di dollari. Oggi non è più così difficile o costoso
riempire la casa di orchidee, si possono comperare in qualunque vivaio.
Inoltre
le orchidee hanno sempre avuto un’attrattiva speciale, uno dei miei personaggi
dice, “considero l’orchidea come il più sessuale dei fiori…” A Marcel Proust
piaceva talmente una specie di Cattleya che coniò una frase “faire Cattleya” per dire “faire l’amour”.
Le orchidee dei miei libri non
sono quelle esotiche ma del tipo che cresce selvatico nei campi e nei boschi,
sui declivi collinari e in terreno umido, non solo in Dordogna ma in tutto il
mondo. Sono piante più modeste delle loro cugine tropicali, ma non meno belle o
stupefacenti.
“La maledizione dell’orchidea” è il secondo romanzo in cui Julian Wood
cerca la rara Cypripedium incognitum
ed iniziamo a pensare che questa orchidea rappresenti qualcosa d’altro: forse
la bellezza irraggiungibile?
Cypripedium calceolus |
Al di là di queste
considerazioni, la Cypripedium incognitum non rappresenta tanto la
bellezza eterna- anche se la sua bellezza è ammaliante per quanto lievemente
sinistra- quanto l’irraggiungibile. Penso che spesso le persone siano definite
non da quello che sono riuscite a fare ma da quello che desiderano. Quello che
ci sospinge non è quello che già siamo, ma quello che vogliamo diventare. Per
Julian la sua orchidea del mistero è una parte mancante di lui stesso. Il che
solleva la questione che Julian dovrà affrontare: che cosa succederà una volta
che Julian trova la sua orchidea, se la trova? Lo renderà completo, o recederà
nel banale, lasciandolo a cercare qualcos’altro per riempire il vuoto?
I contadini hanno un altro nome per l’orchidea rara, lo Zoccolo del Diavolo, e questo è un nome associato
con il Male. Nel romanzo precedente il fiore veniva anche chiamato la
Scarpetta della
Madonna, il nome con cui è conosciuto anche in Italia: perché due nomi
diversi e opposti? E’ vero il dettaglio dello Zoccolo del Diavolo o lo ha inventato per la trama?
Ne “La maledizione dell’orchidea” si
suggerisce che l’orchidea cercata da Julian possa essere lo Zoccolo del Diavolo e questo porta
Julian e Mara a speculare sulla connessione potenzialmente oscura tra il fiore
e qualche specie di bestia leggendaria che si aggirava in passato nella valle.
Però l’orchidea di Julian è una specie diversa dalla gialla Scarpetta della Madonna: sono dello
stesso genere ma non lo stesso fiore. E’ interessante che Lei osservi il
contrasto Bene/Male che c’è nei nomi dei fiori. E sì, tutto quello che riguarda
l’orchidea misteriosa di Julian è stato inventato per il romanzo, anche se è
botanicamente possibile. E tuttavia si continuano a trovare nuove orchidee,
chissà?
A volte abbiamo l’impressione che la sua vera intenzione sia di
raccontare ai lettori le meraviglie del mondo della natura: ha scelto il genere
del thriller o del mystery per parlare di piante e della natura in modo
anticonvenzionale?
La mia intenzione
principale, nei miei romanzi, è di tessere una storia intrigante. Ma, dato che
la ricerca dell’orchidea misteriosa si svolge in tutta la serie, il mondo della
natura è molto presente: è il mondo delle orchidee che circonda i miei
personaggi. E se ne consegue una certa informazione sulla botanica e sulle orchidee,
se i miei lettori riescono a godere delle meraviglie della natura tramite il
genere del thriller, benissimo. Tuttavia io cerco di comunicare un messaggio di
quanto sia vulnerabile il nostro ambiente naturale. Da una prospettiva
personale, mio marito ed io, che amiamo camminare nei campi e nelle foreste e
che ritorniamo ogni anno negli stessi luoghi in Dordogna, veniamo rattristati
dallo scoprire che una delle nostre colonie preferite di fiori è stata
sradicata, o magari coperta dall’asfalto o semplicemente è scomparsa.
Mi ha affascinato anche il secondo tema de “La maledizione
dell’orchidea”, quello sui lupi mannari e i licantropi. Parte di questo tema ha
a che fare con il folklore e parte con la psichiatria: quando e dove ne ha
sentito parlare?
Sono stata per anni
ricercatrice in un ospedale psichiatrico e mentre lavoravo mi è capitato di
leggere per la prima volta della licantropia, un disordine psichiatrico raro
per cui l’individuo vede se stesso assumere caratteristiche da lupo e crede di
trasformarsi in un lupo. La licantropia ha una base storica, ci sono casi
documentati di persone che affermavano di essere dei lupi o che hanno commesso
dei delitti sotto l’illusione di essere dei lupi, facendo sorgere la domanda se
i licantropi non fossero proprio i lupi mannari, un germe di verità a dare
origine a generazioni di storie dell’orrore. Oppure si trattava del fatto che
il lupo, in quanto uno dei maggiori animali predatori d’Europa, trovò la sua
espressione culturale nelle leggende popolari? Non voglio dire altro su questo,
solo aggiungere che l’idea del lupo mannaro mi è sempre parsa terrificante.
Una delle cose originali delle sue storie poliziesche è che non ci sono
detective. E tuttavia c’è una coppia che investiga, un botanico inglese e una
canadese. Perché questa scelta? Di non avere un detective- quello che appare è
in pensione- e avere invece due stranieri in Francia?
Suppongo che la mia
scelta rifletta la realtà. La
Dordogna ha un grosso numero di residenti espatriati,
specialmente britannici, e, in una certa qual misura, Julian è basato su mio
marito Tim, che è inglese e amante delle piante. E volevo un personaggio
franco-canadese, da qui Mara, la straniera perfettamente bilingue. Sapevo anche
che la maggior parte dei miei lettori non sarebbe stata francese e ho pensato
che sarebbe stato divertente mostrare al lettore la Dordogna attraverso occhi
che permettevano una prospettiva più ampia.
Perché dei detective dilettanti
invece di membri della gendarmerie o
della polizia nazionale? Per prima cosa devo ammettere che è più difficile
trattare in maniera credibile con dilettanti che con professionisti del
crimine. Con i professionisti non devi giustificare perché i tuoi protagonisti
continuino a trovarsi coinvolti in delitti o altri crimini. E’ il loro
mestiere. In secondo luogo, gli ufficiali di polizia hanno accesso a tutti i
congegni di archivi, sistema giudiziario, collegamenti nazionali e
internazionali. Cosa che non hanno i dilettanti. Ecco il motivo della presenza,
ad esempio, del flic in pensione,
Loulou La Pouge ,
e di altri gendarmi. Con i loro contatti e conoscenze dall’interno possono
avere accesso a informazioni e poi comunicarle a Julian e Mara. Tuttavia i
dilettanti hanno almeno un vantaggio sui professionisti del crimine dei romanzi:
possono condividere con il lettore medio il loro essere dei dilettanti.
Personaggi e lettori entrano nel mistero come uguali. E questo può essere in
alcuni modi restrittivo, ma nello stesso tempo molto liberatorio.
Continuerà a scrivere “thriller dell’orchidea”? Io lo spero e sono
anche curiosa di vedere dove troverà la prossima ispirazione…
Il terzo libro della
serie uscirà in inglese nell’agosto del 2008 e al momento sto lavorando sul
quarto, che porterà me e mio marito Tim- e naturalmente alcuni dei miei
personaggi- ai piedi delle colline nelle province dello Yunnan e del Sichuan in
Cina in cerca della orchidea del mistero. Ironicamente la mia ricerca mi
riporterà per la prima volta nella città dove sono nata, Kunming. L’azione del
quarto libro spazierà tra la
Francia e la
Cina in un arco di tempo di un secolo e mezzo. Non so che
cosa succederà dopo il quarto romanzo. Ma certamente continuerò a scrivere.
recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista "Stilos"
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