Voci da mondi diversi. Asia
cento sfumature di giallo
FRESCO DI LETTURA
Anita Nair, “L’ira degli innocenti”
Ed. Guanda, trad. Francesca
Diano, pagg. 347, Euro 19,00
Basta romanticismi sull’ ‘incredibile
India’. L’India del nuovo romanzo di Anita Nair, “L’ira degli innocenti”,
secondo della serie ambientata a Bangalore che ha per protagonista l’ispettore
Gowda, non fa sognare con fruscii di sari di seta, profumi di spezie e
atmosfere esotiche. Non è l’India delle donne che offrono ghirlande di gelsomino
o dei poveri che chiedono l’elemosina, che possono anche assillarti ma non
suscitano mai un’impressione di minaccia. Questa è piuttosto l’India degli
stupri di cui si è letto sui giornali, quella in cui bisogna guardarsi da
tutti. Perfino l’ispettore Gowda pensa che la tranquilla Bangalore in cui è
cresciuto si sia trasformata in una città che fatica a riconoscere. “Parallela
a quella visibile, esisteva un’altra città clandestina. Una città dominata da
magnaccia, da vecchie prostitute e dai loro protettori.” Nel nuovo mondo che è
arrivato anche in India si è disposti a tutto per sopravvivere o per vivere
meglio, per possedere quello che è così allettante, a portata di mano, basta
che la mano sia piena di soldi.
“L’ira degli innocenti” inizia con il ritrovamento
del corpo di un avvocato molto noto- giace riverso nella sua abitazione, ha il
cranio sfondato. Non si tratta di un furto, non ci sono segni di effrazione, è
probabile che la vittima conoscesse chi lo ha ucciso. Il romanzo procede poi
con una serie di episodi- l’impressione è di una cinepresa che documenti la
vita sordida della città, i mezzucoli di gente di bassa lega per arricchirsi ai
danni degli ‘innocenti’, o degli ingenui, o di chiunque non sia abbastanza
scafato per fiutare la trappola. Su un treno un giovane vende tre biglietti a
dei ragazzotti che ne sono sprovvisti, li farà passare per suoi parenti,
saranno fermati alla stazione di Bangalore ma riuscirà a scappare con due dei
malcapitati che saranno collocati a servizio dell’avvocato Rathore. Una
sedicenne si lascia coinvolgere dal fidanzato in appuntamenti con uomini
maturi- dovrebbe solo conversare e tenere compagnia ai clienti. Una ragazzina
di dodici anni, Nandita, scompare. E’ uscita prima da scuola, l’hanno vista
prendere un autobus, indossa la divisa bianca e azzurra, due fiocchi azzurri
nelle trecce. E poi accompagniamo al tempio una strana coppia, lei su una sedia
a rotelle, il marito la spinge. Apprendiamo che erano giovanissimi quando lei
era rimasta paralizzata in seguito ad un incidente di bici che avevano avuto
insieme. Lui l’aveva sposata e, per amore o per senso di colpa, aveva accudito
a lei personalmente, sempre, da allora. E’ bravissima, Anita Nair, a seguire le
fila diverse delle vicende, lasciando nell’ombra un misterioso thekedar, un procuratore di affari che è
coinvolto in tutte queste storie che- lo intuiamo- porteranno all’omicidio del
dottor Rathore.
L’ispettore Gowda sta passando un momento
difficile. E’ felice che il giovane poliziotto Santosh, il suo ‘doppio’ che
tanto lo ammirava ne “Il satiro della sotterranea”, abbia ripreso servizio dopo
essere stato così gravemente ferito, ma si sente ancora in colpa per quello che
è successo. La stima che tutti, nel corpo di polizia, provano per Gowda,
l’ammirazione che hanno per il suo fiuto straordinario, fa sì che nessuno fiati
sulla sua doppia vita: Gowda approfitta della lontananza della moglie (si è
trasferita ad Hassan per stare vicino al figlio che frequenta l’università) per
godere la nuova fiammata di un vecchio amore. Eppure Gowda è a disagio. La
doppiezza non fa per lui, il nuovo vecchio amore lo spinge a ridurre gli
alcolici, ma poi torna la moglie a sorpresa per qualche giorno (qualcuno le ha
detto qualcosa?), ritorna anche il figlio (che faceva a Goa? e che cosa è
quella roba che fuma? e quelle pastigliette che tiene nello zaino?), e,
soprattutto, non basta che debba risolvere il caso dell’assassinio
dell’avvocato, la bambina che è scomparsa è la figlia della donna che fa le
pulizie in casa sua, Gowda la conosce da sempre e gli fa male al cuore pensare
a che fine possa avere fatto. A qualcuno che gli chiede come faccia a vivere continuando ad avere fede
nell’umanità, Gowda risponde, “Chi ha detto che avevo fiducia nell’umanità?”, e
l’altro, “Se non fosse così, non faresti questo, cercare di rendere le cose
migliori.” Gowda sa benissimo che i trafficanti di vite umane- che lavoro
immondo, questo che sfrutta gli innocenti- hanno agganci molto in alto e
faranno il possibile per intralciare il suo lavoro. Ma questo è il punto.
Questa è la forza dell’ispettore Gowda. Lui deve andare avanti contro tutto e
contro tutti, “Non ho scelta. Devo convivere con me stesso.”
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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