Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
chick-lit
Ci saluta in italiano, la
scrittrice inglese Milly Johnson, e ci dice subito che lo sta studiando, anche
se ‘piano, piano’, perché ama molto l’Italia, ha anche studiato latino a scuola
e viene spesso a passare le vacanze in Italia con i suoi bambini che vanno
pazzi per il gelato italiano. E a noi viene in mente il delizioso bambino del
suo romanzo, che fantastica di essere un eroe che si chiama Dannyman, e
comprendiamo su chi abbia ricalcato la sua voce infantile. Abbiamo parlato con
Lei del genere del romanzo rosa, di come ha iniziato a scrivere, di quale ruolo
abbia il sesso nei suoi romanzi e se si diverte mentre scrive, così come ci
siamo divertiti noi nella lettura.
Ci sono dei generi letterari che cambiano con i tempi, ci sono altri
generi che nascono con i nuovi tempi e poi ci sono dei generi che restano più o
meno inalterati: il romanzo rosa ha forse cambiato il nome, diventando
chick-lit, ma è sempre lo stesso. Perché, secondo Lei? E perché è sempre così
popolare?
Penso che sia perché le donne amano
leggere di donne che vivono delle storie come le loro. Penso anche che questo
genere di libri possa essere di conforto e di aiuto quando si passa attraverso
esperienze come quella della maternità, ad esempio: si riesce a guardare con
una certa distanza come altre donne stanno vivendo la nostra stessa esperienza.
La chick-lit è qualcosa di diverso e non credo di rientrare in quel genere: la
chick-lit è un tipo di romanzo non molto profondo, è un po’ come un soufflé. A
me piace riflettere anche sugli aspetti più scuri della vita, sul dolore della
perdita di una persona cara…e non scrivere solo del lavoro e di uscire a bere
con gli amici o a fare shopping. La mia intenzione è quella di offrire un
quadro vero della vita di una donna tra i 30 e i 40 anni, che non è tutta rose
e fiori. Ci sono i problemi del matrimonio e quelli dei bambini e quelli dei
soldi che non bastano. Ecco, i miei romanzi non sono solo una lettura di
evasione.
Nel suo romanzo accenna al disprezzo con cui viene considerato il
romanzo femminile: le dà fastidio?
Sono sincera: anche io, una volta, avevo
questo atteggiamento dispregiativo nei confronti dei libri romantici. Anche io
mi chiedevo se non fossero un tipo di letteratura inferiore. Poi ne ho letto
uno: ero in vacanza con mia nonna, che ama questo genere e se ne era portata
dietro parecchi da leggere. Ne ho preso uno a caso e mi è piaciuto: è
un’evasione. E tutto sommato è anche più difficile scrivere seguendo una
formula: ci sono dei parametri entro cui lavorare, e nello stesso tempo si deve
scrivere una storia fresca. Nel romanzo Adam fa quello che ho fatto
io: si converte al genere, si accorge che aveva torto, trova simpatica la
storia che legge, dopo aver iniziato.
Tra l’altro, uno degli aspetti più piacevoli del suo romanzo è il gioco
di specchi con cui Lei si prende gioco del romanzo sentimentale, sollevandosene
al di sopra. Si diverte, quando scrive?
Sì, e non riesco neppure a ricordare il tempo in cui non scrivevo. Anche
se i primi libri non hanno trovato un editore, anche se mi sono stati rispediti
indietro e io pensavo, ‘basta, non scrivo più’, poi tornavo a scrivere,
semplicemente perché mi diverto. Non volevo proprio morire senza che mi
pubblicassero un libro. E’ un’esperienza stupefacente, quella di scrivere, e
spero che il mio divertimento si rifletta nelle mie storie. Sono felice quando
scrivo: sì, amo il mio lavoro.
La coppia Jo-Matthew ha una storia che dipende molto dal sesso: quanto
è importante il sesso nei suoi romanzi? O l’erotismo?
Non sono il tipo di persona morbosamente interessata al sesso: penso che
il sesso, almeno quello esplicito, non si addica alle mie storie. Il sesso
esiste nei miei libri come parte dell’amore. Ma per me è sbagliato concentrarsi
su quello, per Jo e Matthew il sesso è addirittura accecante nella loro storia.
Non penso sia necessario, in genere c’è poco sesso tra i personaggi principali
dei miei libri, ma si capisce che avranno un futuro fantastico anche dal punto
di vista sessuale, perché sono felici insieme, e che anche quell’aspetto della
loro vita sarà bello. Non mi sento a mio agio a mettere troppo sesso nei miei
romanzi.
Come ha iniziato a scrivere? E come mai ha scelto di scrivere storie di
donne e per le donne?
Quando ero bambina mi piacevano le favole
e, quando ho iniziato a scrivere, c’era sempre un po’ di magia nelle mie storie:
d’altra parte penso che ci sia sempre della magia nella vita vera. All’inizio
ho fatto un errore nel pensare che la gente volesse leggere qualcosa di grandioso,
di viaggi, o trame eccitanti. Ma io non sapevo nulla della vita patinata, ecco
perché i miei libri venivano rifiutati. Un giorno, al lavoro, qualcuno ha fatto
un’osservazione sgradevole sulla città in cui vivo, che certamente non è bella,
ma è ‘casa’- la città di Barnsley. Ho subito pensato che quando avrei scritto
un libro, avrei fatto svolgere la storia a Barnsley, anche se non sapevo
affatto di che cosa avrei scritto. Poi ero incinta e altre due mie amiche erano
pure in attesa. Mesi dopo ci trovavamo insieme, con i bambini piccoli, e mi
sono accorta che avrei dovuto scrivere di questo: della vita normale, con
bambini e fidanzati o mariti o compagni. Dopotutto, questa è la sostanza della
vita, accadono cose straordinarie fra amici o in una coppia, a volte dolorose e
a volte felici. E quindi è stato per una coincidenza se ho trovato l’argomento:
non avrei mai pensato di scrivere delle storie ordinarie su gente ordinaria.
Forse c’è stata un po’ di magia che ha funzionato in tutto questo.
Barnsley |
La mia mamma era scozzese e quindi i miei
nonni erano scozzesi. La nonna è morta prima che io nascessi e ho avuto due
nonne surrogate nelle sue sorelle- le zie a cui dedico il libro. Da bambina
passavo molto tempo in Scozia e mi sembrava un posto meravigliosamente
amichevole, ricordo ancora il profumo dei biscotti in casa delle zie…Volevo una
storia che celebrasse il paese che amo e che desse un’idea dei miei sentimenti.
A proposito: se il mio primo amore è la Scozia , l’Italia viene subito dopo: a volte dico
che in un’altra vita sono nata in Italia. Sto studiando l’italiano, passo qui
le vacanze. Di più: se c’era un paese in cui tenevo che il mio libro fosse
pubblicato, questo è l’Italia. Ho persino studiato il latino a scuola.
E che cosa significa nel 2008 essere scozzese e indossare il kilt?
C’è un forte movimento nazionalista in
Scozia, gli scozzesi sono un popolo orgoglioso e sono orgogliosi delle loro
tradizioni e dei clan. Non è che indossino il kilt comunemente, anche se è vero
che se ne vedono parecchi in giro. Soprattutto portano il kilt nelle feste,
durante le cerimonie di matrimonio. Ammettiamolo: non c’è niente di più
mascolino che un paio di gambe nude e forti che escono da un kilt. E riguardo
ad Adam: volevo fare di lui un grande eroe romantico.
A parte Stevie, tutti gli altri personaggi sono, per così dire, più
grandi del vero: Jo McLean è più che semplicemente cattiva, Matthew è più che
stupido, e Adam è letteralmente un gigante. Gioca con le regole del genere,
esagerando?
Sì, proprio così, e nello stesso tempo
volevo però che i miei personaggi fossero credibili. Non c’è speranza nella
cattiveria di Jo, eppure è credibile. Matthew è un debole ma non volevo fare di
lui un personaggio cattivo. E’ un egoista ma alla fine si rende conto che ha
sbagliato. Ma esistono queste persone più grandi del vero: ho un amico di
Newcastle che è un gigante. Sì, gioco col genere, ma spero che i miei
personaggi siano credibili.
Mi è piaciuto molto ‘il libro dentro il libro’: perché lo ha messo
nella trama? Per sottolineare la vicenda, per divertirsi, per giocare con i
lettori…?
Per giocare…Perché Stevie poteva scrivere
della donna che era lei nel libro, e poteva anche vincere l’amore di lui, nel
libro. Però, mentre lavora sulla trama, si rende conto che il suo personaggio
riflette il vero Adam e si domanda se lei non stia facendo un errore di
valutazione. Scrivere le serve per capire, ha dei pregiudizi. E’ stato
divertente scrivere il libro dentro il libro.
Non ha mai la tentazione di scrivere un finale infelice per le sue
storie?
No, mai. Dai libri si può trarre cultura o
senso del mistero, ma io voglio scrivere dei libri che lascino i lettori con il
sorriso sulle labbra: magari qualcuno è depresso, legge e si solleva il morale.
Sarebbe sleale se scrivessi un terzo libro con una fine infelice: chi mi legge
sa che cosa aspettarsi dai miei libri. Quando ci aspettiamo certe cose, le
vogliamo anche. In me c’è la ragazzina che vuole un ‘happy ending’, e il
principe e la principessa che vissero felici e contenti. C’è chi si domanda che
gusto ci sia a leggere un libro che si sa già come andrà a finire, ma ci sono
anche quelli che lo sanno e vogliono leggere ‘come’ succederà tutto quanto,
come si ritroveranno a vivere felici insieme. Sarebbe sleale da parte mia
scrivere qualcosa di diverso: ho una responsabilità nei confronti dei miei
lettori, non posso deluderli.
l'intervista è stata pubblicata su www.wuz.it
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