martedì 6 febbraio 2018

Milly Johnson, "Veri amori, falsi amanti" - Intervista 2008

                                  Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
                                                chick-lit


Ci saluta in italiano, la scrittrice inglese Milly Johnson, e ci dice subito che lo sta studiando, anche se ‘piano, piano’, perché ama molto l’Italia, ha anche studiato latino a scuola e viene spesso a passare le vacanze in Italia con i suoi bambini che vanno pazzi per il gelato italiano. E a noi viene in mente il delizioso bambino del suo romanzo, che fantastica di essere un eroe che si chiama Dannyman, e comprendiamo su chi abbia ricalcato la sua voce infantile. Abbiamo parlato con Lei del genere del romanzo rosa, di come ha iniziato a scrivere, di quale ruolo abbia il sesso nei suoi romanzi e se si diverte mentre scrive, così come ci siamo divertiti noi nella lettura.

Ci sono dei generi letterari che cambiano con i tempi, ci sono altri generi che nascono con i nuovi tempi e poi ci sono dei generi che restano più o meno inalterati: il romanzo rosa ha forse cambiato il nome, diventando chick-lit, ma è sempre lo stesso. Perché, secondo Lei? E perché è sempre così popolare?
     Penso che sia perché le donne amano leggere di donne che vivono delle storie come le loro. Penso anche che questo genere di libri possa essere di conforto e di aiuto quando si passa attraverso esperienze come quella della maternità, ad esempio: si riesce a guardare con una certa distanza come altre donne stanno vivendo la nostra stessa esperienza. La chick-lit è qualcosa di diverso e non credo di rientrare in quel genere: la chick-lit è un tipo di romanzo non molto profondo, è un po’ come un soufflé. A me piace riflettere anche sugli aspetti più scuri della vita, sul dolore della perdita di una persona cara…e non scrivere solo del lavoro e di uscire a bere con gli amici o a fare shopping. La mia intenzione è quella di offrire un quadro vero della vita di una donna tra i 30 e i 40 anni, che non è tutta rose e fiori. Ci sono i problemi del matrimonio e quelli dei bambini e quelli dei soldi che non bastano. Ecco, i miei romanzi non sono solo una lettura di evasione.


Nel suo romanzo accenna al disprezzo con cui viene considerato il romanzo femminile: le dà fastidio?
      Sono sincera: anche io, una volta, avevo questo atteggiamento dispregiativo nei confronti dei libri romantici. Anche io mi chiedevo se non fossero un tipo di letteratura inferiore. Poi ne ho letto uno: ero in vacanza con mia nonna, che ama questo genere e se ne era portata dietro parecchi da leggere. Ne ho preso uno a caso e mi è piaciuto: è un’evasione. E tutto sommato è anche più difficile scrivere seguendo una formula: ci sono dei parametri entro cui lavorare, e nello stesso tempo si deve scrivere una storia fresca.  Nel romanzo Adam fa quello che ho fatto io: si converte al genere, si accorge che aveva torto, trova simpatica la storia che legge, dopo aver iniziato. 

Tra l’altro, uno degli aspetti più piacevoli del suo romanzo è il gioco di specchi con cui Lei si prende gioco del romanzo sentimentale, sollevandosene al di sopra. Si diverte, quando scrive?
   Sì, e non riesco neppure a ricordare il tempo in cui non scrivevo. Anche se i primi libri non hanno trovato un editore, anche se mi sono stati rispediti indietro e io pensavo, ‘basta, non scrivo più’, poi tornavo a scrivere, semplicemente perché mi diverto. Non volevo proprio morire senza che mi pubblicassero un libro. E’ un’esperienza stupefacente, quella di scrivere, e spero che il mio divertimento si rifletta nelle mie storie. Sono felice quando scrivo: sì, amo il mio lavoro.


La coppia Jo-Matthew ha una storia che dipende molto dal sesso: quanto è importante il sesso nei suoi romanzi? O l’erotismo?
   Non sono il tipo di persona morbosamente interessata al sesso: penso che il sesso, almeno quello esplicito, non si addica alle mie storie. Il sesso esiste nei miei libri come parte dell’amore. Ma per me è sbagliato concentrarsi su quello, per Jo e Matthew il sesso è addirittura accecante nella loro storia. Non penso sia necessario, in genere c’è poco sesso tra i personaggi principali dei miei libri, ma si capisce che avranno un futuro fantastico anche dal punto di vista sessuale, perché sono felici insieme, e che anche quell’aspetto della loro vita sarà bello. Non mi sento a mio agio a mettere troppo sesso nei miei romanzi.

Come ha iniziato a scrivere? E come mai ha scelto di scrivere storie di donne e per le donne?
      Quando ero bambina mi piacevano le favole e, quando ho iniziato a scrivere, c’era sempre un po’ di magia nelle mie storie: d’altra parte penso che ci sia sempre della magia nella vita vera. All’inizio ho fatto un errore nel pensare che la gente volesse leggere qualcosa di grandioso, di viaggi, o trame eccitanti. Ma io non sapevo nulla della vita patinata, ecco perché i miei libri venivano rifiutati. Un giorno, al lavoro, qualcuno ha fatto un’osservazione sgradevole sulla città in cui vivo, che certamente non è bella, ma è ‘casa’- la città di Barnsley. Ho subito pensato che quando avrei scritto un libro, avrei fatto svolgere la storia a Barnsley, anche se non sapevo affatto di che cosa avrei scritto. Poi ero incinta e altre due mie amiche erano pure in attesa. Mesi dopo ci trovavamo insieme, con i bambini piccoli, e mi sono accorta che avrei dovuto scrivere di questo: della vita normale, con bambini e fidanzati o mariti o compagni. Dopotutto, questa è la sostanza della vita, accadono cose straordinarie fra amici o in una coppia, a volte dolorose e a volte felici. E quindi è stato per una coincidenza se ho trovato l’argomento: non avrei mai pensato di scrivere delle storie ordinarie su gente ordinaria. Forse c’è stata un po’ di magia che ha funzionato in tutto questo.
Barnsley
 C’è un forte elemento scozzese nel romanzo e anche molta simpatia per la Scozia: la sua famiglia ha origini scozzesi?
    La mia mamma era scozzese e quindi i miei nonni erano scozzesi. La nonna è morta prima che io nascessi e ho avuto due nonne surrogate nelle sue sorelle- le zie a cui dedico il libro. Da bambina passavo molto tempo in Scozia e mi sembrava un posto meravigliosamente amichevole, ricordo ancora il profumo dei biscotti in casa delle zie…Volevo una storia che celebrasse il paese che amo e che desse un’idea dei miei sentimenti. A proposito: se il mio primo amore è la Scozia, l’Italia viene subito dopo: a volte dico che in un’altra vita sono nata in Italia. Sto studiando l’italiano, passo qui le vacanze. Di più: se c’era un paese in cui tenevo che il mio libro fosse pubblicato, questo è l’Italia. Ho persino studiato il latino a scuola.


E che cosa significa nel 2008 essere scozzese e indossare il kilt?
     C’è un forte movimento nazionalista in Scozia, gli scozzesi sono un popolo orgoglioso e sono orgogliosi delle loro tradizioni e dei clan. Non è che indossino il kilt comunemente, anche se è vero che se ne vedono parecchi in giro. Soprattutto portano il kilt nelle feste, durante le cerimonie di matrimonio. Ammettiamolo: non c’è niente di più mascolino che un paio di gambe nude e forti che escono da un kilt. E riguardo ad Adam: volevo fare di lui un grande eroe romantico.


A parte Stevie, tutti gli altri personaggi sono, per così dire, più grandi del vero: Jo McLean è più che semplicemente cattiva, Matthew è più che stupido, e Adam è letteralmente un gigante. Gioca con le regole del genere, esagerando?
     Sì, proprio così, e nello stesso tempo volevo però che i miei personaggi fossero credibili. Non c’è speranza nella cattiveria di Jo, eppure è credibile. Matthew è un debole ma non volevo fare di lui un personaggio cattivo. E’ un egoista ma alla fine si rende conto che ha sbagliato. Ma esistono queste persone più grandi del vero: ho un amico di Newcastle che è un gigante. Sì, gioco col genere, ma spero che i miei personaggi siano credibili.

Mi è piaciuto molto ‘il libro dentro il libro’: perché lo ha messo nella trama? Per sottolineare la vicenda, per divertirsi, per giocare con i lettori…?
     Per giocare…Perché Stevie poteva scrivere della donna che era lei nel libro, e poteva anche vincere l’amore di lui, nel libro. Però, mentre lavora sulla trama, si rende conto che il suo personaggio riflette il vero Adam e si domanda se lei non stia facendo un errore di valutazione. Scrivere le serve per capire, ha dei pregiudizi. E’ stato divertente scrivere il libro dentro il libro.


Non ha mai la tentazione di scrivere un finale infelice per le sue storie?

     No, mai. Dai libri si può trarre cultura o senso del mistero, ma io voglio scrivere dei libri che lascino i lettori con il sorriso sulle labbra: magari qualcuno è depresso, legge e si solleva il morale. Sarebbe sleale se scrivessi un terzo libro con una fine infelice: chi mi legge sa che cosa aspettarsi dai miei libri. Quando ci aspettiamo certe cose, le vogliamo anche. In me c’è la ragazzina che vuole un ‘happy ending’, e il principe e la principessa che vissero felici e contenti. C’è chi si domanda che gusto ci sia a leggere un libro che si sa già come andrà a finire, ma ci sono anche quelli che lo sanno e vogliono leggere ‘come’ succederà tutto quanto, come si ritroveranno a vivere felici insieme. Sarebbe sleale da parte mia scrivere qualcosa di diverso: ho una responsabilità nei confronti dei miei lettori, non posso deluderli.

l'intervista è stata pubblicata su www.wuz.it


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