mercoledì 21 febbraio 2018

Pietro Spirito, “Il suo nome quel giorno” ed. 2018

                                                             Casa Nostra. Qui Italia
                                                             la Storia nel romanzo



Pietro Spirito, “Il suo nome quel giorno”
Ed. Marsilio, pagg. 180, Euro 16,50

    Quante tragedie nelle terre di confine. Quante tragedie ovunque, a ben vedere. Ma nelle terre di confine, terre di passaggio, i drammi di coloro che oggi chiamiamo ‘migranti’ si incupiscono con l’aggiunta di un rovello personale, su un’incertezza che riguarda la propria identità e la propria appartenenza che è destinata a diventare più grave e dolorosa nelle generazioni a seguire. Chi siamo? Qual è il paese che possiamo chiamare patria? Quello dove affondano le radici famigliari o quello dove si aggrappano con disperazione le nostre? Il caso di Giuliana Striano, la protagonista del romanzo di Pietro Spirito, è più complesso ancora.
     Giuliana Striano vive in Sudafrica. E’ separata dal marito, ha una bambina, Renata. Alla morte di sua madre scopre di essere un’altra, di avere un altro nome, di chiamarsi Giulia Vogric, di essere nata a Trieste in una data diversa da quella che risulta sul suo documento. E scatta in lei l’urgenza di sapere. Chi sia lei veramente, chi sia la sua vera madre, quale sia la storia che l’ha portata a darla (a venderla?) a degli sconosciuti che, peraltro, le hanno offerto il meglio possibile in un paese lontano da quello che è il suo. Giuliana scrive a tutti i possibili indirizzi da cui qualcuno sia in grado di aiutarla a ricostruire la storia della sua vita. Uno solo le risponde, archivista all’ente previdenziale dei marittimi di Trieste. Perché è un archivista, perché è abituato a rovistare nel passato e a ordinarlo per mantenerne le tracce.  Infatti segue le tracce di Giuliana che si chiamava Giulia, trova sua madre Vera.

   La storia di Giuliana/Giulia che, nel 2008 arriva a Trieste con la bambina, si alterna con quella di Vera nel gennaio 1961, in un campo profughi  che raccoglie quelli che sono fuggiti dalle terre cedute alla Jugoslavia di Tito dopo la guerra. Lo squallore del campo, la provvisorietà che è diventata definitiva per i più nonostante le promesse di alloggi migliori e di un lavoro, ci fanno pensare alle tante situazioni analoghe di anni più vicini ai nostri, agli sfollati da aree terremotate o alluvionate che hanno continuato a vivere per anni in tende o baracche di fortuna. Nel 1961 Vera è incinta, è poco più che una ragazzina, non sa che farsene di quella gravidanza, deve affrontare la vergogna dell’essere additata in quel campo dove vige uno stretto controllo della Chiesa e delle forze dell’ordine. Mente su chi sia il padre e accetta di dare via la bambina ad una coppia che non ha la gioia di avere un figlio.

     Può essere così facile la vita? Esiste il finale ‘e vissero felici e contenti’? si abbracceranno e ricuciranno un rapporto che non c’è mai stato, la giovane donna che arriva da Cape Town e la donna non più giovane che ha subito altre batoste e che ha sepolto nell’oblio quell’incidente così squallido nelle baracche di uno squallido campo profughi? C’è una cosa che Giuliana sa perfettamente adesso- lei non farà mai a Renata quello che sua madre ha fatto a lei. Possono le circostanze attenuare la colpa di una madre che vende una figlia?

    L’attenzione dello scrittore è centrata sulle due donne, ma il dramma non è solo loro. Ci sono dei personaggi maschili che vivono il dolore in una maniera tutta loro. Joze ritorna ogni anno al tunnel dove è morta la madre nella fuga a piedi dalla Jugoslavia- un tunnel fatto scavare dai tedeschi ai prigionieri accumulando morti a cui altre morti si sarebbero aggiunte in quella fuga disperata e scomposta del 1945- e le dedica silenziosi minuti di ricordo. Il padre di Vera, umiliato dall’ozio forzato, frustrato da inutili promesse di lavoro, addolorato dalla consapevolezza dello sfascio della sua famiglia, si uccide. Perfino l’uomo di cui Giulia porta il nome, ma che non è suo padre, fa una brutta fine. La guerra non termina con l’ultimo sparo (il titolo di un bel romanzo di Hugo Hamilton), fa le sue vittime ad anni di distanza.

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