Casa Nostra. Qui Italia
la Storia nel romanzo
Pietro Spirito, “Il suo nome quel giorno”
Ed. Marsilio, pagg. 180, Euro
16,50
Quante tragedie nelle terre di confine.
Quante tragedie ovunque, a ben vedere. Ma nelle terre di confine, terre di
passaggio, i drammi di coloro che oggi chiamiamo ‘migranti’ si incupiscono con
l’aggiunta di un rovello personale, su un’incertezza che riguarda la propria
identità e la propria appartenenza che è destinata a diventare più grave e
dolorosa nelle generazioni a seguire. Chi siamo? Qual è il paese che possiamo
chiamare patria? Quello dove affondano le radici famigliari o quello dove si
aggrappano con disperazione le nostre? Il caso di Giuliana Striano, la
protagonista del romanzo di Pietro Spirito, è più complesso ancora.
Giuliana Striano vive in Sudafrica. E’
separata dal marito, ha una bambina, Renata. Alla morte di sua madre scopre di
essere un’altra, di avere un altro nome, di chiamarsi Giulia Vogric, di essere
nata a Trieste in una data diversa da quella che risulta sul suo documento. E
scatta in lei l’urgenza di sapere. Chi sia lei veramente, chi sia la sua vera
madre, quale sia la storia che l’ha portata a darla (a venderla?) a degli
sconosciuti che, peraltro, le hanno offerto il meglio possibile in un paese lontano
da quello che è il suo. Giuliana scrive a tutti i possibili indirizzi da cui
qualcuno sia in grado di aiutarla a ricostruire la storia della sua vita. Uno solo
le risponde, archivista all’ente previdenziale dei marittimi di Trieste. Perché
è un archivista, perché è abituato a rovistare nel passato e a ordinarlo per
mantenerne le tracce. Infatti segue le
tracce di Giuliana che si chiamava Giulia, trova sua madre Vera.
La storia di Giuliana/Giulia che, nel 2008 arriva a Trieste con la
bambina, si alterna con quella di Vera nel gennaio 1961, in un campo profughi che raccoglie quelli che sono fuggiti dalle
terre cedute alla Jugoslavia di Tito dopo la guerra. Lo squallore del campo, la
provvisorietà che è diventata definitiva per i più nonostante le promesse di
alloggi migliori e di un lavoro, ci fanno pensare alle tante situazioni
analoghe di anni più vicini ai nostri, agli sfollati da aree terremotate o
alluvionate che hanno continuato a vivere per anni in tende o baracche di
fortuna. Nel 1961 Vera è incinta, è poco più che una ragazzina, non sa che
farsene di quella gravidanza, deve affrontare la vergogna dell’essere additata
in quel campo dove vige uno stretto controllo della Chiesa e delle forze
dell’ordine. Mente su chi sia il padre e accetta di dare via la bambina ad una
coppia che non ha la gioia di avere un figlio.
Può essere così facile la vita? Esiste il
finale ‘e vissero felici e contenti’? si abbracceranno e ricuciranno un
rapporto che non c’è mai stato, la giovane donna che arriva da Cape Town e la
donna non più giovane che ha subito altre batoste e che ha sepolto nell’oblio
quell’incidente così squallido nelle baracche di uno squallido campo profughi?
C’è una cosa che Giuliana sa perfettamente adesso- lei non farà mai a Renata
quello che sua madre ha fatto a lei. Possono le circostanze attenuare la colpa
di una madre che vende una figlia?
L’attenzione dello scrittore è centrata
sulle due donne, ma il dramma non è solo loro. Ci sono dei personaggi maschili
che vivono il dolore in una maniera tutta loro. Joze ritorna ogni anno al
tunnel dove è morta la madre nella fuga a piedi dalla Jugoslavia- un tunnel
fatto scavare dai tedeschi ai prigionieri accumulando morti a cui altre morti
si sarebbero aggiunte in quella fuga disperata e scomposta del 1945- e le
dedica silenziosi minuti di ricordo. Il padre di Vera, umiliato dall’ozio
forzato, frustrato da inutili promesse di lavoro, addolorato dalla
consapevolezza dello sfascio della sua famiglia, si uccide. Perfino l’uomo di
cui Giulia porta il nome, ma che non è suo padre, fa una brutta fine. La guerra
non termina con l’ultimo sparo (il titolo di un bel romanzo di Hugo Hamilton),
fa le sue vittime ad anni di distanza.
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