Voci da mondi diversi. Area germanica
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Veit Heinichen, “La calma del più forte”
Ed. e/o, trad. Silvia Montis,
pagg. 329, Euro 18,00
E’ un vero peccato non poter dire che Veit Heinichen è uno dei migliori
giallisti italiani. Semplicemente perché, nonostante Herr Heinichen viva ormai
da moltissimi anni a Trieste, nonostante che i suoi libri siano tutti
ambientati in questa città, che abbiano a che fare con gli svariati crimini della
società italiana e che i personaggi siano italiani, resta il fatto che Veit
Heinichen è tedesco. Potremmo allora dire che Veit Heinichen è uno dei migliori
scrittori di gialli, o noir che dir si voglia, che hanno a che fare con il
mondo del crimine italiano proprio perché non
è italiano, il che gli facilita un punto di vista più distaccato e obiettivo,
una libertà di affondo senza alcuna remore, un coraggio che non è da tutti nel
fare nomi e nel denunciare traffici eccellenti.
Il nuovo romanzo, “La calma del più
forte”, si apre con una scena insolita che diventerà metaforica per quanto
accadrà più tardi: Pina Cardareto, la piccola ispettrice calabrese di stanza a
Trieste da tre anni, viene aggredita da un pitbull durante il quotidiano
allenamento in bicicletta. Pina zoppicherà per tutta la durata della vicenda;
del cane apprenderemo il nome e la storia in capitoli in corsivo in cui la
finzione narrativa esige che sia lui stesso a raccontare la sua vita da cani. Perché
è lui, il cane Argo, la vittima rappresentativa di tutte le vittime. Argo che
si chiama come il fedele cane che riconosce Ulisse dopo la lunga assenza e che
viene addestrato per diventare un cane da combattimento, dopato, sottoposto ad
un trattamento di una crudeltà indicibile, senza possibilità alcuna di reagire.
Non occorre essere un animalista per indignarsi, per sentirci in qualche modo
tutti colpevoli della sua fine.
E’ il dicembre del 2007, aria di
Natale, aria di bora a Trieste, aria di esultanza perché il 20 di dicembre,
entrando in vigore l’accordo di Schengen, cadranno le frontiere tra Italia e
Slovenia. Ci sono segnali di allarme (e il combattimento illegale dei cani
serve da accompagnamento), manifesti con la scritta ISTRIA LIBERA. DALMAZIA
NOSTRA e- come nelle locandine che appaiono nei film sul Far West, con il volto
del Ricercato di turno- il viso
raffigurato è quello di un uomo d’affari molto noto che viene minacciato di
morte. Nessuno viene mai minacciato di morte per niente: l’affascinante Goran
Newman, che abita poco al di là della frontiera in una splendida casa isolata e
super-sorvegliata, che indossa sempre sottili guanti grigi che si fa arrivare
da Londra, che si fa chiamare Duke come il famoso jazzista, è tra gli
speculatori finanziari che hanno portato avanti la criminosa politica di nuova
colonizzazione di cui il suo stesso figlio lo accusa. La terra sulla costa
croata viene venduta a prezzi irrisori, espropriando legalmente la popolazione
che viene cacciata nell’interno. E lì, in riva al mare, sorgono complessi
alberghieri che favoriranno il turismo, certo, ma com’è che non c’è nessun
comune cittadino croato a trarre profitto da tutto ciò? Mentre scoppiano in
cielo i fuochi d’artificio per festeggiare lo storico evento, solo un orecchio
più fine potrebbe distinguere altri botti…
La piacevolezza dei romanzi di Veit
Heinichen deriva dall’equilibrio tra tensione e placidità e tra pubblico e
privato, il tutto insaporito dal colore locale di ricette e vini e illuminato
dal colore dell’aria della città che una volta era il porto asburgico
sull’Adriatico. Le trame di Veit Heinichen traggono sempre spunto da
avvenimenti veri- scandali, fatti di cronaca, traffici illeciti di ogni tipo-
ed è come se lo scrittore ci costringesse a prendere atto che i crimini di cui
parla si svolgono sotto i nostri occhi, ingenui, incuranti, benpensanti. E
tuttavia il brivido d’indignazione suscitato nel lettore viene volutamente
attenuato (all’italiana?) dall’atmosfera domestica intorno al commissario
Proteo Laurenti, che si preoccupa per il figlio Marco che si fa le canne e per
la figlia prediletta che è incinta, che ha ancora un guizzo di rimpianto per una
storia d’amore extraconiugale ormai finita, che occhieggia sorridendo i bottoni
slacciati della camicetta della segretaria. E poi c’è l’ombrina con tartufo
bianco d’Istria, ci sono le bistecche d’orso (certamente non sono tra i piatti
prediletti da Montalbano), le salsicce di cui arriva il profumo anche al
lettore- ci viene il dubbio che forse Veit Heinichen abbia scelto Trieste come
sua dimora perché è un gourmet.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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