Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
il libro ritrovato
Louise Erdrich, “La casa tonda”
Ed. Feltrinelli, trad. Vincenzo
Mantovani, pagg. 378, Euro 19,00
Titolo originale: The Round House
Tutti i giudici sanno che
esistono molti tipi di giustizia: per esempio, la giustizia ideale in
contrapposizione con la migliore giustizia che possiamo fare, che è dove si va
a finire nel prendere tante delle nostre decisioni. Non si è trattato di un linciaggio.
La sua colpevolezza era indiscutibile. Potrebbe avere persino desiderato di
essere preso e punito. Non possiamo conoscere i suoi pensieri. L’assassinio di
Lark è un’azione sbagliata al servizio di una giustizia ideale,
Non si può leggere un romanzo di Louise
Erdrich senza tenere a mente che la scrittrice è un’indiana Chippewa e che
l’appartenenza ad una tribù indiana deve essere certificata con prove che
mostrino un’eredità indiana per almeno un quarto di sangue. Perché altrimenti
non riusciremmo a capire del tutto il profondo coinvolgimento, la conoscenza
del folklore che non è esotismo superficiale, l’appassionato tentativo di farci
avvicinare ad un mondo che lotta per la sopravvivenza, ad una gente- la sua gente- i cui diritti umani sono stati
calpestati, che balzano fuori da ogni suo libro. Anche dal più recente, “La
casa tonda”, che prende l’avvio da un crimine purtroppo frequente ovunque- una
donna viene stuprata. Nella postfazione si dice che, secondo un rapporto di
Amnesty International del 2009 (il libro è ambientato nel 1988) una donna
indiana su tre verrà violentata nel corso della vita, l’86% dei colpevoli non sono indiani e pochi vengono
perseguiti a termini di legge. Perché questo è uno dei punti chiave del
romanzo: la donna che è stata vittima della violenza non sa dove questa sia
avvenuta, le era stata messa una federa sulla testa, e, se la giustizia ha le
mani legate nel caso non si sappia se il luogo fosse di proprietà statale,
federale o tribale- a chi tocca emettere la sentenza?
Non è una famiglia comune, quella che è al
centro de “La casa tonda”. Il padre del tredicenne Joe, protagonista ed io
narrante del romanzo, è il giudice Coutts, la madre lavora nell’ufficio che
gestisce le pratiche di appartenenza alle tribù- sa tutto di tutti. E la
lettura preferita del giovane Joe è “Il manuale di diritto federale indiano”. Quando, una sera, Geraldine, la madre
di Joe, non rientra, il marito e il figlio non si preoccupano subito. Lei
ritorna a casa, è perfino riuscita a guidare l’automobile, non si sa come,
perché l’uomo ha usato una violenza brutale su di lei. Geraldine è riuscita a
scappare mentre lui andava a cercare i fiammiferi- aveva già versato la
benzina, voleva darle fuoco. Il trauma è tale che Geraldine si chiude in un mutismo
assoluto, rifiuta il cibo, non esce dalla sua stanza, sembra abbia staccato la
spina e rinunci a vivere. Eppure deve sapere chi sia l’aggressore.
L’inizio del libro è molto bello, perché ci
piace la spontaneità della voce di Joe che ci racconta di sé, della sua
famiglia, dei suoi tre amici, soprattutto di Cappy che è quasi un fratello per
lui. E questo- ci è subito chiaro- è un romanzo di formazione speciale, perché
la prova che Joe dovrà superare, quella che segna il passaggio all’età adulta, è
quanto di più difficile e doloroso si possa immaginare. Joe, la cui sessualità
incomincia a svegliarsi, si deve confrontare con la peggiore violenza
perpetrata su una donna e la donna è sua
madre, deve misurarsi con l’idea stessa di giustizia, senza potersi capacitare
di quanto la giustizia sia ingiusta, si trova infine davanti alla realtà della
Morte che mette veramente termine a tutto, alle esistenze indegne ma anche a
quelle luminose. Ma dentro al romanzo di formazione c’è anche il filone del
thriller o del mystery: chi è il colpevole? Perché ha scelto Geraldine come
vittima? E chi ha nascosto quarantamila dollari nella bambola trovata da Joe? E
la bambola, di chi è, o di chi era?
La parte centrale de “La casa
tonda” procede ad un ritmo rallentato con quelle che ci paiono digressioni. In
realtà molto spazio è dato, forse perfino troppo, alle scorribande di Joe e dei
suoi amici che servono, però, per prepararci a quello che succederà, e
altrettanto ai racconti di storie indiane, tra la leggenda e il mito. Storie
che parlano dei tempi in cui le praterie erano oscurate dalle mandrie dei
bisonti e ad un ragazzo di dodici anni era stato ordinato di uccidere la madre
che era posseduta da un wiindigoo, uno spirito del male. Non c’è altro da fare
che uccidere la persona in cui si è incarnato un wiindigoo. Sarà il pensiero
attorno a cui si arrovella la mente di Joe: ci si può fare giustizia da soli
per fermare il Male, laddove non arriva il braccio della Giustizia dello Stato?
C’è tuttavia una resa dei conti,
c’è una giustizia superiore, qualunque colpa si paga, prima o poi- è questa la
lezione finale di un romanzo che non è perfetto, non è ‘stupendo’ come dice
Roth, ma che è semplicemente bello e vale la pena di essere letto.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
Louise Erdrich |
Nessun commento:
Posta un commento