Voci da mondi diversi. Asia
fresco di lettura
Anita Rau Badami, “Il gioco del silenzio”
Ed. Piemme, trad. L. Prandino,
pagg. 251, Euro 14,50
Un paesino nel Canada, perso nel nulla. In inverno le temperature scendono
anche a 30 gradi sotto zero. Anu, una giovane donna di origine indiana, viene
trovata morta assiderata fuori della porta della famiglia Dharma. Circa sei
mesi prima aveva preso in affitto una piccola casa sulla loro proprietà, si era
concessa un periodo di pausa, voleva scrivere. Come mai era uscita vestita in
maniera così poco adeguata, con il freddo che faceva? Strano, la sua morte
ricorda quella di Mr. Dharma, l’uomo che si era trasferito a vivere lì
dall’India, il nonno di Varsha e di Hemant, padre di Vikram che era andato a
cercarsi una seconda moglie in India dopo che la prima, madre di Varsha, era
morta in un incidente. La nonna non ha problemi a raccontare come è morto Mr.
Dharma, e dalla sua voce trapela soddisfazione. Mr. Dharma era un uomo violento
e un ubriacone. Una sera, tornando a casa sbronzo, lei non lo aveva sentito né
suonare né bussare alla porta, lei dormiva. E al mattino lui era diventato una
statua di ghiaccio.
E tuo nonno, Mr. J.K. Dharma, un piccolo uomo con un grande ego, si congelò davanti alla porta di casa, a quarantasette anni. Aveva dimenticato le chiavi, tornò a notte fonda, completamente sbronzo, non riuscì a svegliarmi e si trasformò in una statua di ghiaccio. Se l’è meritata quella fine, brutto ubriacone. Non mi dato altro che lacrime.
Che cosa ci sia dietro questa morte è un segreto neppur
tanto segreto. Ed è un tipo di segreto che può diventare pericoloso quando
arriva agli orecchi dei bambini. Soprattutto se questi crescono nella scuola
della violenza. E il segreto non diventa meno nocivo se, quando proprio non lo
si può più trattenere dentro di sé, lo si va a raccontare al grande albero nel
giardino- come la nonna ha suggerito di fare ai due bambini (“Tell it to the
trees” è il titolo originale del romanzo, raccontalo
agli alberi).
Anita Rau Badami, nata in India e trasferitasi in Canada nel 1991, riesce
ancora una volta (molto belli entrambi i romanzi precedenti pubblicati dalla
casa editrice Marsilio, “Le donne di Panjaur” e “Il passo dell’eroe”) a
parlarci dell’India ambientando però in Canada le storie dei suoi personaggi,
indiani della diaspora come lo è lei stessa. C’è chi, come la scrittrice Anu
che indossa jeans e camicette, considera l’India il suo paese d’origine ma si è
perfettamente integrata nella quotidianità canadese. E c’è chi continua a
trascinarsi appresso il peggio della cultura del mondo a cui appartiene, il
maschilismo che fa dell’uomo il padrone assoluto della vita di chi gli è
intorno, che gli fa dettar regole ferree anche se assurde- la nuova moglie di
Vikram, Suman, deve indossare il sari
anche in pieno inverno-, che gli fa ordinare di non parlare con nessuno, men
che mai per raccontare i fatti loro. Un padrone ha anche il diritto di
correggere a suon di botte un comportamento che giudica sbagliato, vero?
“Il gioco del silenzio” è un libro sulla violenza e sulla forza distruttiva
della violenza, su come ci possano essere tre tipi di reazione alla violenza-
la passività totale che diventa una sorta di dipendenza masochistica (Suman non
riesce neppure a immaginare di reagire alle percosse del marito e mente sulle
cause dei suoi lividi), la sopportazione che sfocia nella ribellione e nella
fuga (come è avvenuto alla bellissima prima moglie di Vikram), e infine la
violenza può operare come un tarlo che corrode dall’interno, che causa
distorsioni dell’anima, che genera un nuovo Male. E’ quello che accade alla
ragazzina Varsha, terrorizzata all’idea che anche la seconda madre possa
andarsene, estremamente possessiva nei confronti del fratellino che manipola
come vuole, malignamente violenta a scuola, sospettosa, sgarbata e gelosa della
nuova affittuaria che ha stretto amicizia con la sua matrigna.
Sono quattro le voci narranti ne “Il gioco del silenzio”, e sono tutte
voci di vittime- in qualche maniera. Suman, a cui non era parso vero di essere
stata chiesta in moglie da un uomo che era venuto apposta in India dal Canada.
Varsha, traumatizzata dall’abbandono della madre. Hemant, il cui nome significa
‘inverno’ perché aveva fretta di nascere ed è nato nella neve, che adora la
sorella ma poi il segreto che condivide con lei gli fa sentire fantasmi che
bussano a porte e finestre. Anu, che scrive un diario senza sapere che Varsha
lo legge di nascosto, che non può fare a meno di sentire i pianti- è l’occhio
esterno che vede quello che non dovrebbe vedere e che muore con la complicità
dell’inverno.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
Anita Rau Badami |
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