il libro ritrovato
Irène Némirovsky,
“Suite francese”
Ed. Adelphi, trad. Laura Frausin Guarino, pagg. 415, Euro
19,00
Comunica una sensazione strana,
un libro che ci arriva dal passato. Siamo abituati alle voci sempre presenti
dei grandi scrittori che ci hanno accompagnato per secoli con le loro parole,
ma un tono mai sentito in precedenza, così distinto, chiaro e forte, crea
l’impressione di una presenza vicino a noi e insieme lontana, che ci fa vivere
nel suo tempo che è diverso dal nostro. Una storia straordinaria dietro ad un
libro straordinario, la “Suite francese” di Irène Némirovsky, nata a Kiev da
famiglia ebraica nel 1903, fuggita con i genitori nel 1918 prima in Finlandia,
poi in Svezia e infine in Francia, dove sposò Michel Epstein nel 1926. Durante
la guerra Irène Némirovsky fu deportata prima a Pithivier e poi ad Auschwitz,
dove morì nel 1942. Le sue due bambine riuscirono a salvarsi, anche se sempre
in fuga, nascoste da persone compassionevoli. Non abbandonarono mai la valigia
in cui la madre aveva messo i suoi manoscritti, senza avere però la forza di
leggerli, meno che mai quando la guerra finì e loro iniziarono ad aspettare
ogni giorno un ritorno impossibile, sui marciapiedi dei treni che scaricavano
pallide ombre.
Solo mezzo secolo dopo avrebbero letto,
con la lente di ingrandimento, quelle carte, decifrando i caratteri che parevano
file di formiche sui fogli. Si trattava dei due primi romanzi di quella che
doveva essere come una sinfonia in cinque parti, “Tempesta di giugno” e
“Dolce”, in cui Irene Némirovsky racconta la guerra in Francia. Non la guerra
dei soldati, non i retroscena politici della guerra, ma la guerra vissuta dalla
gente comune che si trova a fronteggiare situazioni nuove ed estreme, ed ognuno
reagisce secondo la sua natura, tirando fuori il meglio o (forse più spesso) il
peggio di sé. O semplicemente mostrandosi semplicemente come è.
La “Tempesta di giugno” è lo
sconvolgimento provocato dall’occupazione di Parigi da parte dei tedeschi: i
parigini fuggono, in un esodo che ricorda quello dei moscoviti in “Guerra e
Pace” che abbandonano la città in mano di Napoleone. E non è un caso che
proprio Tolstoj venga spesso nominato nelle annotazioni che la Némirovsky faceva nelle
pagine a fianco di quelle in cui scriveva il testo del romanzo e che sono
riportate in appendice, “rileggere Tolstoj. Indispensabili le descrizioni, ma
non storiche”, perché “la guerra finirà e tutta la parte storica sbiadirà”. Una
massa di persone che si muove come un fiume in piena, e l’attenzione della
scrittrice si ferma su alcuni personaggi, i Péricand, ricchi borghesi che
mettono in salvo mobili, argenteria, biancheria e partono con il seguito di
domestici, il collezionista a cui importano solo i suoi preziosi oggetti, lo
scrittore Corte e i suoi manoscritti, il banchiere e la sua amante.
Ma le
strade sono ugualmente intasate per tutti, manca la benzina, gli alloggi per
riposarsi lungo il percorso della fuga sono pieni, gli alimentari scarseggiano.
Non c’è scampo allo sguardo attento e impietosamente rivelatore della Némirovsky
che ritrae meschinità ed egoismi. C’è solo la coppia di impiegati, i Michaud, che
mantiene la propria dignità e umanità e riappare in un ruolo secondario nel
secondo romanzo, “Dolce”: una storia più intima e circoscritta, l’amore tra la
francese Lucile e il tenente tedesco che ha requisito la sua casa. Un rapporto
mai consumato in cui prevale la dolcezza, appunto, un’intesa di sentimenti e di
inclinazioni, un’affinità spirituale che induce a dimenticare che il tedesco è
il nemico di oggi e di ieri. Non possiamo che rimpiangere che Irène Némirovsky
non abbia potuto scrivere gli altri tre romanzi che aveva in mente e che
avrebbero completato la sinfonia letteraria.
la scrittrice Irène Némirovsky
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