il libro ritrovato
Andrea Molesini, “La primavera del lupo”
Ed. Sellerio, pagg. 295, Euro
14,00
E all’improvviso non ci sono più le cose
che scoppiano, gli spari, e sento il fiato del lupo sulla faccia. Mi giro verso
Dario. Sono ancora vivo, dice, e detto da un muto vale di più.
Karl mette la Luger in tasca e il caldo fiato del mio lupo sparisce così
com’era venuto, forse è tornato nel bosco dove nessuno spara a nessuno.
Sento la mano di Karl che mi solleva che adesso sono in piedi. Le gambe
però mi tremano come ranocchie quando fanno rumore nei fossi. Dario mi fa caldo
alla faccia con il suo fiato che per fortuna non puzza come quello di Karl che
sa di fumo spento.
“I dieci anni li ho compiuti già da tre
giorni e si sa che con il numero 10 si comincia a ragionare come i grandi”: è
la voce di Pietro, protagonista de “La primavera del lupo”, il romanzo con cui
Andrea Molesini torna a parlarci di guerra, dopo il bellissimo “Non tutti i
bastardi sono di Vienna” (vincitore del Premio Campiello 2011), sullo sfondo di
quella regione veneta che lui, nato a Venezia, conosce molto bene. La guerra
vissuta da Pietro è la seconda guerra mondiale e il grosso interrogativo che
gli si presenta è perché mai i tedeschi o le camicie nere debbano avercela con
il suo amico Dario che è ebreo e con le sorelle Jesi che per lui fanno un’unica
persona che chiama Mauriziada: come è possibile che Maurizia e Ada siano
cattive e che abbiano ucciso Gesù- come dice don Rino- se invece sono così
buone e aiutano tutti? Quanto a Dario, be’, “se uno deve proprio farla una cosa
così grossa come uccidere Gesù mica può essere così scemo da nascere con le
orecchie a sventola come due porte aperte perché così non si nasconde.” Pietro,
Dario, le due Jesi e una giovane suora sono nascosti nel convento di San
Francesco del Deserto, una piccola isola della laguna. Ma è il marzo del 1945,
è incredibile che, dopo cinque anni di guerra e milioni di morti, si perda
tempo a dare la caccia a donne e bambini, eppure è così- il minuscolo gruppo
deve scappare.
Inizia per loro un viaggio del tutto
insolito, una fuga avventurosa che può essere eccitante soltanto, e soltanto in
alcuni momenti, per dei bambini, piena com’è di insidie, di pericoli, di
trabocchetti e di sorprese. Gli occhi di Pietro vedono il mondo in bianco e
nero: ci sono i buoni e ci sono i cattivi. Sono buoni i suoi compagni di fuga,
è buono il pescatore dalle mani grandi e i capelli color albicocca (Pietro lo
chiama Lirlandese ‘perché Lirlanda è un’isola dove tutti hanno i capelli come
le albicocche’) che li fa salire sulla sua barca, è buono Frate Ernesto che non
esita a rispondere aspramente ‘agli uomini di A-H’ (che è Hitler nel linguaggio
di Pietro mentre noi immaginiamo il frate un po’ come il frate Tuck di Robin
Hood). Sono cattivi tutti quelli che vogliono fermarli accanendosi contro di
loro. Quando appare sulla scena un tedesco che si unisce al gruppo, dapprima
Pietro è perplesso: dei tedeschi non ci si può fidare, hanno voci ‘da
porcospino’ e sempre un’arma in mano. Anche questo tedesco ha una Luger ma, in
qualche modo, è diverso. O si comporta in maniera diversa perché anche lui è in
fuga- ha disertato. Per Pietro e Dario diventerà ‘zio Karl’ e finiranno per
volergli molto bene.
La voce di Pietro- il bambino fantasioso che, per farsi coraggio, elegge
un lupo ad amico invisibile- non è la sola a raccontarci della fuga negli
ultimi convulsi due mesi di guerra. Suor Elvira (Pietro ha capito subito che
non può essere una vera suora, lo sa anche lui che le suore non hanno lunghi
capelli rossi sotto il velo) scrive una sorta di diario fatto di appunti di
viaggio, riflessioni sui suoi compagni, confessione del suo segreto, il motivo
perché indossa quell’improbabile abito. Sono due voci diverse e complementari,
sono le voci di chi subisce la violenza della guerra: ci sarebbero le guerre in
un mondo popolato da donne e bambini? I bambini- Pietro e Dario in ‘questa’
storia- sono quelli che danno la forza di resistere e di andare avanti, perché
il mondo deve essere salvato per loro. E’ per i bambini che bisogna reagire e
imporsi un sorriso, fingendo che le patate crude siano buone, che sia
divertente nascondersi e scappare. Nel viaggio di questo piccolo romanzo di
formazione i bambini e la donna passeranno attraverso le dure prove della vita,
capiranno che a volte il nemico può essere amico e viceversa, incontreranno la
morte (troppo spesso, troppo brutale), conosceranno l’amore (amore o sesso,
poco importa quando esprime il disperato bisogno di calore umano) e l’odio che
detta la vendetta. E quando Dario, il bambino che è di quelli che hanno ucciso
Gesù e che non parla mai, punta il dito contro chi ha appena sparato dicendo,
‘Sei come loro’, è più cristiano di quelli che hanno sterminato la sua gente, è
l’innocenza e la giustezza dell’infanzia, è la speranza nel futuro di pace.
Non ci si stanca di leggere Molesini.
Perché ci diverte la buffa voce di Pietro, ci entusiasma il sapore
dell’avventura anche se punteggiata da tristi eventi, ci incanta l’atmosfera
della laguna e la violenza subita da Elvira ci ricorda la vulnerabilità delle
donne durante tutte le guerre e in tutti i paesi.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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