ricorrenze
fresco di lettura
Donatella Di Pietrantonio, “Bella mia”
Ed. elliot, pagg. 186, Euro 17,50
L’Aquila. 6 aprile 2009. Una scossa di
terremoto di magnitudo locale 6,2. Gli orologi si fermano alle 3,32 del
mattino. Mi vengono in mente i versi della bellissima poesia di Auden, Fermate tutti gli orologi, isolate il
telefono,/ fate tacere il cane con un osso succulento,/ chiudete i pianoforti,
e tra un rullio smorzato/ portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.
Fermate gli orologi non per un solo amato ma per tutte le vittime del
terremoto, portate fuori 308 feretri. Fermate gli orologi per la bimba nella
piccola bara bianca posta sopra quella scura della sua mamma, per la bambina di
sei anni che Lorenza (uno dei personaggi del romanzo “Bella mia” di Donatella
Di Pietrantonio) va a trovare ogni giorno al cimitero, preoccupandosi che abbia
freddo e si senta sola laggiù, per Olivia, gemella di Caterina (io narrante del
romanzo), per tutti gli altri che sono rimasti sepolti sotto macerie di case
che tecnici poco accurati avevano giudicato sicure, per una città che è morta
con la sua gente, con le sue fontane, le sue chiese, con le case e poco importa
se fossero patrimonio artistico o no.
Cantavano gli uccelli notturni, uno in
particolare ripeteva sempre lo stesso chiù monotono. Ho creduto di
riconoscere l’assiolo, una volta Roberto ci aveva detto che il suo verso è un
Mi bemolle. Nemmeno il tempo di chiedermi che ci facesse un assiolo in centro,
hanno taciuto, tutti insieme. Quasi nello stesso istante si sono messi ad
abbaiare i cani, in coro, a cerchio, dai palazzi e più lontano, dalle campagne
e dalle frazioni della città. Davano l’allarme per quello che arrivava, nella
loro lingua inascoltata. Confusa tra le altre, la voce di Bric da Onna latrava
contro la resistenza del suo padrone e io non ne sapevo niente. Di colpo mi ha
investito l’aria dura, non il vento, una massa compatta di aria percossa. Sono
rientrata con un salto ed è cominciato.
Sono passati quattro anni al tempo in cui
Caterina racconta. Cinque per noi che leggiamo ora “Bella mia”. Ed è come una
frustata che ci fa sobbalzare. Perché noi
che non abitavamo all’Aquila, noi che
non siamo stati sistemati in case provvisorie (quel temibile provvisorio italiano
che può diventare definitivo), noi
abbiamo la memoria corta, confessiamolo- quasi ci eravamo scordati dell’Aquila.
Che ci ritorna con prepotenza in mente con il romanzo della Di Pietrantonio che
prende il titolo da una canzone- Aquila
bella mé…te vojo revetè. Caterina, sua madre, Marco, sono i personaggi del
libro. Una famiglia che era composta da sei persone e ne sono rimaste tre- il
padre di Caterina, però, è morto da tempo, Olivia era tornata a vivere
all’Aquila con Marco dopo la separazione dal marito, è rimasta sotto una trave
la notte del terremoto. Ecco, sua madre lo ripete sempre- se il marito non
l’avesse tradita, se lei non se ne fosse andata da Roma, Olivia sarebbe ancora
viva. La storia che Caterina racconta è fatta di piccole cose, di una vita che
va avanti perché la vita è fatta così, si lascia alle spalle chi non cammina
più a fianco a noi. Ma Caterina non ha perso solo una sorella, Caterina ha
perso la sua gemella, la metà migliore di lei, ha perso se stessa. Perché la
morte ha preso Olivia e non lei? perché non si è attardata lei in casa, per
prendere un paio di pantaloni per Marco? E’ il senso di colpa dei sopravvissuti
che attanaglia Caterina che si ritrova all’improvviso, senza gestazione, madre
di un adolescente brufoloso che si fa sorprendere nella Zona Rossa che è
transennata, che si ubriaca in gita scolastica, che non studia. Come si convive
con un dolore immenso, quando ci si ritrova senza una madre a 16 anni, senza
una figlia nel fiore degli anni, senza la gemella che già nel grembo materno
aveva occupato più spazio, che era nata per prima, che era più bella, più
brillante, più tutto?
La narrazione procede tra un presente
difficile e i ricordi del passato, Caterina che dipinge ceramiche e tira fuori
il nipote dalla Questura e flash di Olivia che prende le difese della sorella
da bambine, Caterina che sente battere il cuore con un sentimento che pensava
non avrebbe più provato e Olivia che aveva preparato zaino, coperta e torcia
per fuggire, la notte del 6 aprile. Le macerie della città e il canto
dell’assiolo, i soldati di pattuglia e un bambino in arrivo per Lorenza. Sono
forti, gli abruzzesi. Non è gente che si lascia andare. Riavranno le loro case-
Marco vuole che sia uguale a prima. Come tutti.
Con una prosa spoglia e di nuda
poesia “Bella mia” ci parla del dolore di una manciata di personaggi per dirci
dello strazio di molti, nel canto che sentiamo solo all’inizio, Aquila bella mé…te vojo revetè, c’è più
che il desiderio, c’è la volontà di risorgere, di far rinascere L’Aquila, di
rivederla come era prima.
Mi rammarico spesso che i nostri
scrittori non siano capaci di farsi interpreti dei nostri tempi per noi, in
quello che scrivono. Donatella Di Pietrantoni c’è riuscita. Ad obbligarci a
ricordare quando la notizia ha perso attrattiva sulle pagine dei quotidiani.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
la scrittrice Donatella Di Pietrantonio
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