Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
il libro ritrovato
Zadie Smith, “L’uomo autografo”
“Che cosa c’è in un nome?”, chiede Giulietta. “Se non si chiamasse più Romeo, conserverebbe quella preziosa
perfezione, che egli possiede anche senza quel nome”. Eppure, per i popoli
primitivi il nome si identificava talmente con l’essenza del portatore da
renderne pericolosa la diffusione. E, nella religione ebraica, il nome
dell’Altissimo non deve essere mai pronunciato e viene scritto solo con il
tetragramma delle lettere che formano il Nome dei nomi. Sono proprio le quattro
lettere del nome biblico di Dio che, nella seconda pagina de “L’uomo autografo”,
ci introducono al tema del romanzo: la collezione di autografi. Un nome doppio
per il protagonista Alex-Li, figlio di padre cinese e di madre ebrea inglese, e
un cognome, Tandem, che suggerisce una duplicità. Alex-Li non è religioso, ma
la religione rimane il problema irrisolto, la tela di fondo su cui viene
tracciata la storia del personaggio e il romanzo è articolato in due parti, con
capitoli intitolati ai dieci attributi divini contenuti nella Kabbalah, nella
prima parte, e ai dieci stadi della realizzazione di sé per la filosofia Zen,
nella seconda. Si inizia con Alex in età di Bar-mitzvah che va con il padre a
vedere uno spettacolo di lotta e si finisce con il Kaddish che Alex recita in
memoria del padre morto quindici anni prima, proprio durante quello spettacolo
che era coinciso pure con la scoperta, da parte di Alex, del fascino del
collezionismo
. Sembra che Alex stia sprecando la sua vita, tra bevute, droghe,
un amore inconcluso per Esther dalla pelle scura, in mezzo alla disapprovazione
dei suoi amici. E poi si lancia nell’avventura, all’inseguimento del Graal, che
per lui è l’ormai anziana attrice Kitty Alexander (un caso che il cognome sia
lo stesso nome di lui?), a cui Alex ha
scritto una lettera alla settimana per tredici anni senza mai ricevere
risposta. E poi, un giorno, era arrivata una foto con l’autografo di Kitty
Alexander ed ecco Alex partire per l’America dove, in una versione moderna di
una storia di cavalleria, con tanto di incontro con una donna tentatrice, una
spregiudicata “belle dame sans merci”, finisce per “rapire” l’attrice, la porta
nel suo appartamento nei sobborghi di una Londra mai nominata ma facilmente
riconoscibile, e organizza la strepitosa vendita all’asta di lettere o altri
documenti da lei firmati.Riconosciamo, in questo romanzo, alcuni tratti che sembrano ormai essere tipici di Zadie Smith, la scrittrice rivelazione che, a soli 23 anni, si è imposta all’attenzione con “Denti bianchi”. L’interesse per la multietnicità- Zadie Smith è figlia di padre inglese e madre giamaicana-, un orecchio finissimo per la lingua che la scrittrice sembra quasi divertirsi ad usare, in uno stile scoppiettante e caustico, brillante eppure pensoso, e un occhio attento ai segnali di novità intorno a lei. Avvertiamo qualcos’altro di molto personale ne “L’uomo autografo”, quasi la sorpresa per l’improvvisa celebrità e il tentativo di destreggiarsi con ironia con ciò che la fama comporta. Se il libro pecca a volte di intellettualismo, è pur sempre una conferma di una voce originale di grande qualità.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
Nessun commento:
Posta un commento