vento del Nord
biografia
il libro ritrovato
Jonas Hassen Khemiri, “Una tigre molto speciale (Montecore)”
Ed. Guanda, trad. Alessandro
Bassini, pagg. 331, Euro 17,00
Titolo originale: Montecore. En unik tiger
“Grazie, Abbas. Fortuna buona per il futuro. Spero tu avrai successo
nella tua ambizione di non contagiare tuo figlio con l’estraneità.”
“In che senso, contagiare?”
“Sì, perché il senso di estraneità sembra davvero vagare in eredità da
una generazione all’altra, non trovi? E allo stesso tempo contagiare quelli che
ti stanno vicino. Un po’ come una malattia infeziosa.”
Montecore. Chi è, che cosa è Montecore? La prima parte del titolo,
“Ritratto di una tigre molto speciale”, sarebbe già abbastanza intrigante di
per sé, senza l’aggiunta di quel ‘Montecore’ che lascia spiazzati. A meno che
la curiosità invincibile ci porti subito a fare delle ricerche, dobbiamo
attendere la fine del romanzo per avere almeno qualche indizio sul suo
significato, e peraltro anche lì il riferimento è a Google, lo stesso motore di
ricerca che usiamo anche noi. Montecore era la tigre bianca ammaestrata della
coppia di domatori Siegfried e Roy che si esibiva a Las Vegas. Aggiungo alcuni
dettagli su cui la mente del lettore può lavorare, mentre si immerge nelle
pagine di questo libro affascinante: Siegfried e Roy erano tedeschi (stranieri
in America); Siegfried e Roy avevano un grande sogno; di Roy è la citazione
all’inizio del libro, riferentesi allo stretto legame con gli animali, “Pensano
che sia una strana tigre che cammina su due gambe”; Roy finì dissanguato per
essere stato azzannato alla gola da Montecore- pare però che la tigre fosse
intervenuta per difenderlo da una spettatrice invadente; nei giochi di ruolo
inventati da Jonas (il figlio di Abbas Khemiri, grande protagonista in assoluto
del romanzo) le manticore sono i mostri.
La straordinaria tigre bianca è dunque
Abbas Khemiri? Il romanzo di Jonas Hassen Khemiri è la storia di suo padre, ma
è anche la storia di un uomo che, emigrato dalla Tunisia alla Svezia, è colpito
dal ‘virus dell’estraneità’ e che lotta per non contagiare il figlio, è un
libro sul rapporto di un padre con il figlio ed è, infine, una protesta e una
denuncia del razzismo e della discriminazione. C’è qualcosa delle acrobazie
degli animali del circo in “Una tigre molto speciale”, un romanzo pirotecnico e
scoppiettante a più voci. Il primo a prendere la parola, o meglio la penna,
ovvero a battere una e-mail sui tasti di un computer, è Kadir, l’amico di Abbas
Khemiri. Scrive a Jonas: ha saputo che Jonas e suo padre non si parlano da nove
anni e che ora Jonas sta pubblicando il suo primo romanzo. Che ne dice
dell’idea di collaborare per scrivere una biografia di Abbas, diventato ormai
un fotografo famoso?
Da questo punto in poi quello che
noi leggiamo è un libro in fieri,
composto dalle e-mail di Kadir in cui ribatte e commenta ciò che Jonas deve
avergli scritto, una narrativa in terza persona in cui Kadir racconta la
giovinezza di Abbas in Tunisia (arrivato lì dall’Algeria in guerra) e il colpo
di fulmine tra Abbas e Pernilla Bergman, i ricordi di Jonas che tuttavia non
usa la prima, ma la seconda persona per dirci di un padre del tutto speciale,
del tutto diverso dai padri dei suoi compagni. Il padre (anzi, ‘il pappo’) di
Jonas non veste mai in giacca e cravatta, ha i riccioli neri e la carnagione
scura, ha gli occhi scintillanti ed è sempre allegro. Il pappo ha fondato con
Jonas il Duo Dinamico, coinvolgendolo nelle sue imprese (di scarso successo,
per lo più). Il pappo non parla svedese ma il khemirico, un miscuglio di lingue
con regole ed eccezioni (ad esempio, ‘niveizzare’ vuol dire spalmare una crema
e se una cosa è liscia è ‘pernilliana’). Il pappo arriva a prenderlo a scuola
urlando a gran voce, “Ma ciao vecchi scarponi!”. Ai ricordi di Jonas per
ricostruire il passato si aggiungono le lettere che Abbas ha mandato a Kadir, e
poi ci sono le note esplicative di Kadir a pie’ pagina- la costruzione del
libro, il lessico usato nello scambio di lettere, le correzioni ad un testo che
viene scritto in simultanea mentre lo leggiamo, ci fanno venire in mente
l’eccezionale debutto di Jonathan Safran Foer, ma i personaggi, l’ambiente, la
problematica sono talmente diversi che allontaniamo subito l’idea di una
somiglianza.
Abbas Khemiri domina il libro di suo figlio,
è un personaggio strepitoso- d’altro canto non è forse riuscito ad incantare,
lui che non ha né soldi né un lavoro, la bionda e alta svedese Pernilla che gli
dà ben tre figli? Perché Abbas ha un sogno e lo persegue, contro tutti e contro
tutto, e si rispetta sempre chi ha la forza di credere nel proprio sogno. Abbas
vuol diventare un fotografo come Robert Capa e ci riuscirà, tra avversità e
comiche disavventure. Intanto, però, il figlio che lo adorava, che lo seguiva
come un’ombra, si allontana da lui e finisce per considerarlo un vigliacco, o
un traditore.
Perché, mentre cresce l’onda del razzismo in Svezia, mentre
aumenta la paura di essere aggrediti da teppisti di estrema destra, mentre si
diffonde l’insultante parola ‘blatte’ per definire gli immigrati, padre e
figlio si trovano su sponde diverse, quasi che il virus dell’estraneità fosse
entrato nella famiglia stessa. Con dolore, dell’uno e dell’altro. Dolore così
intenso che si tocca, perché, che cos’è “Una tigre molto speciale” se non una
mano allungata verso il padre? Siamo poi sicuri che Kadir sia chi dice di
essere?
E infine un’osservazione: quanto
ci delude questa Svezia violenta e razzista!
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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