Voci da mondi diversi. Francia
autobiografia
Shoah
FRESCO DI LETTURA
Christophe Boltanski,
“Il nascondiglio”
Ed. Sellerio, trad. Marina Di Leo, pagg. 277, Euro 16,00
Una casa nel VII arrondissement di Parigi,
in rue Grenelle. La famiglia Boltanski. La casa è la famiglia Boltanski. E viceversa. Ogni capitolo del romanzo “Il
nascondiglio” di Christophe Boltanski è preceduto da una piantina della casa
(singolare, su due piani, un’infilata di stanze, un paio di ingressi su un
cortile, un dislivello interno che renderà possibile ‘il nascondiglio’ quando
si renderà necessario) e il racconto che segue è centrato, uno dopo l’altro, su
ognuno dei locali in cui vive- nucleo a sé, chiuso in autodifesa- la famiglia
Boltanski. Si inizia da quella che una stanza non è ma che fa parte della casa perché
i Boltanski passano da una e salgono sull’altra (“Si avventuravano fuori di
casa soltanto motorizzati”): una Fiat Cinquecento L bianca. Sempre tutti
insieme, stipati dentro, per accompagnare il padre Etienne (stimato medico) al
lavoro in ospedale e poi aspettarlo. Lei, Myriam, al volante. Lui al suo fianco.
I figli Jean-Elie, Anne e lui, Christophe, il nipotino che aveva solo quattro
anni meno di Anne, seduti dietro.
Che Anne sia una figlia adottiva, che anche
Myriam sia stata adottata per togliere un fardello dalle spalle di una famiglia
poverissima, che Etienne sia figlio di immigrati di Odessa e che la nonna
(Niania) sia arrivata a Parigi giovanissima, mentendo sulla sua età e
stringendo un samovar sotto braccio, che Myriam- che vuole essere chiamata
Mère-Grand (originale anche in quello)- abbia le gambe inservibili, vittima di
una poliomelite che l’aveva obbligata a interrompere gli studi di medicina,
sono tutte cose che verremo a sapere a poco a poco, alla rinfusa, senza una
precisa sequenza temporale. Il cognome, poi, era veramente Boltanski? Quando
Christophe andrà a Odessa a fare ricerche, non c’è traccia di una famiglia con
quel cognome. Piuttosto con varianti con una y finale o nel mezzo del cognome. Colpa di una errata
traslitterazione? E poi nessun nome è certo di quelli dei primi Boltanski.
Misure di sicurezza, per meglio camuffarsi, come l’improbabile passaporto in
cui il nonno appare con una parrucca da donna. I pogrom hanno insegnato loro a
fuggire, anche se il bisnonno pensava di aver raggiunto in Francia la terra
della libertà e dell’uguaglianza. Il nascondiglio, nel sottoscala, piccolo e
angusto, è destinato a nascondere Etienne per due anni, per sottrarlo alle
retate naziste e alle delazioni dei vicini, dopo aver divorziato (pro-forma)
dalla moglie (che risposerà dopo la guerra, quando già era nato il piccolo
Christian che aveva dovuto essere registrato come figlio di madre ignota per
poter avere il cognome paterno) ed essersi volatizzato nella notte (un trauma
per Luc, il figlio più giovane che non si dava pace) per chiudersi, invece, la
botola sopra la testa.
Stravaganti, intellettuali, raffinatamente
maleducati semplicemente perché le normali regole non facevano per loro,
inclini all’arte (Grand- Mère batteva incessantemente romanzi sulla sua
Olivetti, Christian dipingeva quadri astratti), sessantottini ante-litteram
prima di diventarlo realmente, i Boltanski vivevano respirando la stessa aria,
tenuti insieme dalla ferrea volontà di Mère-Grand, dormivano addirittura tutti
insieme nella stessa stanza, i genitori nel lettone e i figli nei sacchi a pelo
per terra. Era stato Luc, il padre dell’autore del romanzo, ad uscire dal
bozzolo per primo. Leggiamo storie di guerra, di paure, di solitudine, di
conversioni, di amore. E al centro c’è lei, Mère-Grand, un donnino dalle gambe
paralizzate con una vitalità eccezionale e una volontà di piegare il mondo
circostante alle sue necessità per non apparire mai handicappata.
Si esce da una storia e si entra in
un’altra, così come si esce da una stanza per passare in quella seguente, si
salgono e si scendono scalini come passi nel tempo, si resta intrappolati nel
fascino della famiglia Boltanski, catturati dall’umorismo gentile, da quel
miscuglio di ironia, di commedia, di tragedia con cui sono intessute le vicende
e soprattutto dal profondo amore che è il collante di tutte le storie dei
Boltanski.
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