lunedì 30 novembre 2015

Eric Lichtblau, “I nazisti della porta accanto” ed. 2015

                                            Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
            seconda guerra mondiale
             FRESCO DI LETTURA


Eric Lichtblau, “I nazisti della porta accanto”
Ed. Bollati Boringhieri, trad. S. Bourlot, pagg. 315, Euro 19,55

      Della via dei topi, la via di fuga dei nazisti verso l’America Latina grazie all’aiuto della Croce Rossa e del Vaticano, sapevamo da tempo. Qualcosa si sapeva anche di quelli che avevano trovato rifugio e copertura negli Stati Uniti dopo la guerra, ma la versione ufficiale parlava  di ‘alcuni’ nazisti, minimizzando, giustificando la protezione offerta dal governo americano con la necessità di evitare che dei brillanti scienziati finissero in Unione Sovietica e che i loro cervelli potessero essere sfruttati a vantaggio dei comunisti nella Guerra Fredda che sarebbe seguita alla seconda guerra mondiale. Furono più di diecimila, invece, gli uomini di Hitler che si rifecero una vita negli Stati Uniti e moltissimi di questi avevano avuto un ruolo non da poco nei crimini commessi. Eric Lichtblau, giornalista del New York Times e vincitore del premio Pulitzer per il giornalismo nazionale del 2006, ha scritto su questo argomento un libro di denuncia appassionante come un romanzo e basato su ricerche negli archivi americani ed europei.
    “I nazisti della porta accanto”- avevano un’ottima capacità di dissimulazione, questi nazisti che si erano sbiancati la coscienza. Forse si erano convinti loro stessi di quello che avevano dichiarato e che continuavano a dire, che erano innocenti, che non avevano nulla a che fare con i campi, con gli eccidi, con i rastrellamenti, con le esecuzioni sui bordi delle fosse, con le crudeltà inumane. Negavano anche quando si trovavano davanti ad un testimone- a distanza di anni, chi può dichiararsi sicuro di riconoscere una persona? Dopotutto, tuttavia, pur disprezzandoli, possiamo comprendere la loro necessità di mentire ad oltranza: si trattava di salvarsi la vita. Quello che invece ci fa orrore, nel libro minuzioso di Eric Lichtblau, quello che ci provoca disgusto è il cinismo della Cia e dell’Fbi che hanno scelto, per più di mezzo secolo, di privilegiare le menti o i possibili servigi dei nazisti, cancellando il loro operato con un colpo di spugna, accontentandosi che, in una qualche maniera blanda e attenuata, gli aspiranti immigrati riconoscessero di essere stati seguaci del Führer, arrivando ad impedire di procedere, quando qualcuno dei loro ‘protetti’, già utilizzato come spia, veniva portato in tribunale. E inoltre, come ben documenta Lichtblau, il servizio prestato dai nazisti arruolati nelle file della Cia non era neppur sempre di alto livello, piuttosto l’opposto.

     Un discorso a sé merita l’accaparramento di teste da parte degli americani. E’ indubbio che ci fossero menti brillanti, addirittura geniali, tra gli scienziati tedeschi. Valga per tutti il nome di Werner von Braun, il barone che ebbe un ruolo determinante nella fabbricazione dei razzi V-2, il volto che comparve sulla copertina della rivista Time come progettista del propulsore che portò la missione Apollo sulla luna nel 1969. Si presentava bene, von Braun. Decisamente un bell’uomo con quell’aria nordica e il portamento aristocratico. Era quasi impossibile vederlo come un criminale. Eppure, nonostante i giri di parole, le mezze negazioni, von Braun era perfettamente al corrente della realtà agghiacciante del campo Dora Mittelbau dove schiavi rimpiazzabili lavoravano in condizioni disumane per fornire al Führer il numero richiesto della sua arma letale. Ma questa era la guerra, no? A quanto pare la giustificazione era buona sia per von Braun sia per la Cia che già aveva preso contatti con alcune delle personalità più importanti prima della fine della guerra. Ma il problema etico resta: si può separare la ricerca scientifica dai valori morali?

    Eric Lichtblau, nella sua disanima di criminali impuniti, di funzionari conniventi, di processi intentati e della reazione pubblica, cita anche un film degli anni ‘80 che è venuto in mente anche a me leggendo il suo libro, quando lo stupore dei figli davanti alla rivelazione del passato dei padri è il segno più chiaro della perfezione della menzogna di questi. In “Music Box” Jessica Lang è l’avvocato che difende il padre, immigrato ungherese, dall’accusa diffamante di aver fatto parte delle Croci Ferrate e di essere responsabile della morte di molti ebrei. No, suo padre non può aver fatto quelle cose. No, non lui. Finché trova delle fotografie nascoste in un carillon e la verità è lì, davanti ai suoi occhi. E, chiudendo il libro di Lichtblau, siamo sopraffatti da un miscuglio di sentimenti, proviamo orrore e sdegno per i criminali, ci sentiamo offesi dall’amorale cinismo americano e pieni di compassione per quelli che si sono presi sulle spalle le colpe dei padri.




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