Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
seconda guerra mondiale
FRESCO DI LETTURA
Eric Lichtblau, “I nazisti della porta accanto”
Ed. Bollati Boringhieri, trad. S.
Bourlot, pagg. 315, Euro 19,55
Della via dei topi, la via di
fuga dei nazisti verso l’America Latina grazie all’aiuto della Croce Rossa e
del Vaticano, sapevamo da tempo. Qualcosa si sapeva anche di quelli che avevano
trovato rifugio e copertura negli Stati Uniti dopo la guerra, ma la versione
ufficiale parlava di ‘alcuni’ nazisti,
minimizzando, giustificando la protezione offerta dal governo americano con la
necessità di evitare che dei brillanti scienziati finissero in Unione Sovietica
e che i loro cervelli potessero essere sfruttati a vantaggio dei comunisti
nella Guerra Fredda che sarebbe seguita alla seconda guerra mondiale. Furono più di diecimila, invece, gli uomini di Hitler che si rifecero
una vita negli Stati Uniti e moltissimi di questi avevano avuto un ruolo non da
poco nei crimini commessi. Eric Lichtblau, giornalista del New York Times e vincitore del premio Pulitzer per il giornalismo
nazionale del 2006, ha scritto su questo argomento un libro di denuncia appassionante come un romanzo e basato
su ricerche negli archivi americani ed europei.
“I nazisti della porta accanto”- avevano
un’ottima capacità di dissimulazione,
questi nazisti che si erano sbiancati la coscienza. Forse si erano convinti
loro stessi di quello che avevano dichiarato e che continuavano a dire, che
erano innocenti, che non avevano nulla a che fare con i campi, con gli eccidi,
con i rastrellamenti, con le esecuzioni sui bordi delle fosse, con le crudeltà
inumane. Negavano anche quando si
trovavano davanti ad un testimone- a distanza di anni, chi può dichiararsi
sicuro di riconoscere una persona? Dopotutto, tuttavia, pur disprezzandoli,
possiamo comprendere la loro necessità di mentire ad oltranza: si trattava di
salvarsi la vita. Quello che invece ci
fa orrore, nel libro minuzioso di Eric Lichtblau, quello che ci provoca
disgusto è il cinismo della Cia e
dell’Fbi che hanno scelto, per più di mezzo secolo, di privilegiare le
menti o i possibili servigi dei nazisti, cancellando il loro operato con un
colpo di spugna, accontentandosi che, in una qualche maniera blanda e
attenuata, gli aspiranti immigrati riconoscessero di essere stati seguaci del Führer, arrivando ad impedire di
procedere, quando qualcuno dei loro ‘protetti’, già utilizzato come spia,
veniva portato in tribunale. E inoltre, come ben documenta Lichtblau, il
servizio prestato dai nazisti arruolati nelle file della Cia non era neppur
sempre di alto livello, piuttosto l’opposto.
Un discorso a sé merita l’accaparramento
di teste da parte degli americani. E’ indubbio che ci fossero menti brillanti,
addirittura geniali, tra gli scienziati tedeschi. Valga per tutti il nome di Werner von Braun, il barone che ebbe un
ruolo determinante nella fabbricazione dei razzi V-2, il volto che comparve
sulla copertina della rivista Time
come progettista del propulsore che portò la missione Apollo sulla luna nel
1969. Si presentava bene, von Braun. Decisamente un bell’uomo con quell’aria
nordica e il portamento aristocratico. Era quasi impossibile vederlo come un
criminale. Eppure, nonostante i giri di parole, le mezze negazioni, von Braun
era perfettamente al corrente della
realtà agghiacciante del campo Dora Mittelbau dove schiavi rimpiazzabili
lavoravano in condizioni disumane per fornire al Führer il numero richiesto della sua
arma letale. Ma questa era la guerra, no? A quanto pare la giustificazione era
buona sia per von Braun sia per la Cia che già aveva preso contatti con alcune
delle personalità più importanti prima della fine della guerra. Ma il problema etico resta: si può
separare la ricerca scientifica dai valori morali?
Eric Lichtblau, nella sua disanima di criminali impuniti, di funzionari
conniventi, di processi intentati e della reazione pubblica, cita anche un film
degli anni ‘80 che è venuto in mente anche a me leggendo il suo libro, quando
lo stupore dei figli davanti alla rivelazione del passato dei padri è il segno
più chiaro della perfezione della menzogna di questi. In “Music Box” Jessica
Lang è l’avvocato che difende il padre, immigrato ungherese, dall’accusa
diffamante di aver fatto parte delle Croci Ferrate e di essere responsabile
della morte di molti ebrei. No, suo padre non può aver fatto quelle cose. No,
non lui. Finché trova delle fotografie nascoste in un carillon e la verità è
lì, davanti ai suoi occhi. E, chiudendo il libro di Lichtblau, siamo
sopraffatti da un miscuglio di sentimenti, proviamo orrore e sdegno per i
criminali, ci sentiamo offesi dall’amorale cinismo americano e pieni di compassione per quelli che si sono
presi sulle spalle le colpe dei padri.
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