seconda guerra mondiale
FRESCO DI LETTURA
Richard Flanagan, “La strada stretta verso il profondo Nord”
Ed. Bompiani, trad. Elena
Malanga, pagg. 502, Euro 20,00
Dorrigo Evans. Al
campo lo chiamavano il Grande Uomo.
Il Grande Uomo con pantaloncini laceri tenuti su alla bell’e meglio, con in
testa il cappellaccio che tutti loro avevano- residuo della vecchia dignità-,
al collo uno straccio rosso, il sarong fatto a pezzi dell’uomo che aveva visto
seduto sulla riva di un corso d’acqua, prima in dignitosa attesa della morte,
poi cadavere. Il Grande Uomo desiderava poter morire con la stessa dignità. Era l’ufficiale medico preso
prigioniero dai giapponesi insieme ad altri soldati australiani e deportato a
lavorare forzatamente alla costruzione della
linea ferroviaria che doveva unire il Siam (come si chiamava allora la
Thailandia) alla Birmania per permettere l’invasione dell’India via terra. Una
ferrovia impossibile, secondo gli inglesi. Niente di quello che comandava
l’Imperatore del Giappone era impossibile. Era questione di volontà.
E i prigionieri,
disonorati dal fatto stesso di essersi lasciati prendere prigionieri, dovevano
essere orgogliosi di potersi riscattare lavorando per il figlio della dea del
Sole. Felici di morire per un imperatore che era un dio lui stesso. Ogni giorno
Dorrigo Evans combatteva contro la morte, era responsabile dei suoi uomini che dovevano realizzare
un’opera titanica con strumenti inadeguati nell’inferno della foresta.
Alloggiati in un campo dalle condizioni igieniche spaventose, sempre affamati,
decimati a poco a poco dalle malattie- pellagra, beriberi, malaria, ulcerazioni
che lasciavano l’osso nudo, dissenteria cronica. Sotto la pioggia incessante
dei monsoni. Sotto le sferzate delle canne di bambù per ogni minima effrazione,
vera o presunta.
la Ferrovia della Morte |
Il padre di Richarda Flanagan, lo scrittore
australiano autore di “La strada stretta verso il profondo Nord”- un libro bellissimo, di una bellezza
terribile- era uno di quei prigionieri, uno dei pochi sopravvissuti.
Il
nucleo del romanzo è la storia di quegli anni
di guerra vissuti dal protagonista nel campo di prigionia, ma questa è solo
una delle narrative del libro,
costruito su diversi strati temporali. Inizia in un tempo presente con Dorrigo
Evans anziano ma sempre imponente- un leone, un’autorità, un leader- che passa
la notte in un albergo con una donna. E’ un donnaiolo, Dorrigo, ma non per
vocazione o per vizio. C’è nel suo passato- una terza narrativa- una storia d’amore che doveva restare
segreta. Lei si chiamava Amy- Amy, amie,
amour, gli aveva detto lei. Dorrigo l’aveva creduta morta e, al ritorno
dalla prigionia, aveva sposato la fidanzata ‘per bene’, adeguata alla figura
pubblica che lui era diventato, all’eroe di guerra, al chirurgo dalle mani
d’oro. Per poi cercare avventure di passaggio, un poco di sesso e via.
il padre di Richard Flanagan |
E’ difficile dare l’idea della grandiosità di questo romanzo, ricco di
storie e di personaggi, puntellato dai versi
incisivi degli haiku che
contengono l’essenza della vita nella stringatezza di poche parole e da quelli
della poesia “Ulysses” di Tennyson
che riecheggia nella mente di Dorrigo. Ulisse come figura emblematica, sempre
in cerca di nuove conoscenze, legato ai suoi compagni da un vincolo fatto di lotte affrontate insieme, da un tipo di
amore diverso e forse più forte di quello per qualsiasi donna. Come Ulisse,
anche Dorrigo non ritornerà dalla sua Penelope appena libero. Indugerà, si
occuperà dei reduci, troverà altro da fare. Ma- come ci domandiamo sempre- si
ritorna poi veramente da una guerra?
Possiamo indicarla come una quarta narrativa,
quella del ‘dopo-guerra’ dei
prigionieri sopravvissuti e dei giapponesi che li hanno angariati e torturati e
hanno ucciso i loro compagni. Quella che ci racconta di Jack Rainbow che
obbligava i suoi figli a piegare gli abiti verso l’esterno come imponevano i
giapponesi (a uno di loro un dettaglio così stupido era costato la vita) e
quella che ci parla del maggiore Nakamura che si nasconde per non essere
incriminato dagli americani, che lotta contro i ricordi di quello che aveva
fatto come comandante del campo, autogiustificandosi con l’obbedienza
all’Imperatore che incarnava lo spirito del Giappone, o del colonnello Kota che
non ha pentimenti, o del coreano inviso a tutti i prigionieri che non capisce
proprio perché debba essere impiccato, lui che neppure era fedele al figlio
della dea Sole, che era stato arruolato quasi per caso.
il cimitero di Kanchanaburi per le vittime della Ferrovia della Morte |
memoriali nel cimitero di Kanchanaburi |
‘Gli anni e i mesi sorgono e tramontano’,
la storia dell’umanità è una storia di violenza e che cosa è rimasto di tutto
quello sforzo, di quella sofferenza indicibile, di quello spreco di vite?
‘Rimane solo erba di quella rovina’, resta
l’idea della bontà umana- è questo il ricordo che Dorrigo e i reduci
tesorizzano. Della solidarietà, del boccone tolto di bocca e dato al compagno
per farlo avanzare ancora di un passo, dell’amico che come una madre ripulisce
il compagno coperto di merda, che incoraggia e consola. E ‘la memoria è la vera
giustizia’.
Vincitore del Man Booker Prize 2014, “La
strada stretta verso il profondo Nord” è un
libro imperdibile. La nostra vita
sarebbe diminuita senza la lettura di questo magnifico romanzo.
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