Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
FRESCO DI LETTURA
Elizabeth Bowen, “La casa di Parigi”
Ed. Sonzogno, trad. Alessandra di
Luzio, pagg. 288, Euro 16,00
Non sono certa che i due bambini,
Henrietta e Leopold, siano i protagonisti del romanzo “La casa di Parigi” della
scrittrice irlandese Elizabeth Bowen. Non sono neppure certa che lo sia Karen
Michaelis, la madre di Leopold (figura che rivive per noi nel passato,
clamorosamente assente nel presente). Tantomeno lo è la pallida e servizievole
signorina Fisher, angustiata e tiranneggiata da una madre invalida di un male
misterioso. O il fedifrago Max, il tenebroso anglo-francese ebreo, padre di
Leopold che è morto dieci anni prima (Leopold ha nove anni), circonfuso di un
alone di rimpianto amoroso ben poco meritato. Forse è proprio la casa di Parigi la protagonista di
questo romanzo che ci fa pensare a Henry James per l’atmosfera sussurrante di
figure fantasma (“Il giro di vite”), per i due personaggi di bambini
stranamente saggi, come due piccoli adulti, che ci ricordano la Maisie di “Che
cosa sapeva Maisie” e per la tecnica narrativa capace di alternare i punti di
vista. Una casa singolare, alta e stretta, buia, con mobili scuri, un tempo una
pensione per signorine a Parigi per motivi di studio, ora crocevia di passaggio per Henrietta e Leopold- lui al centro di un
dramma, lei testimone non partecipe. Henrietta fa sosta nella casa tra un treno
e l’altro mentre sta andando a raggiungere la nonna sulla Costa Azzurra.
Leopold dovrebbe incontrare lì la madre che non ha mai visto- arriva
dall’Italia dove vive la famiglia inglese che lo ha adottato. Dovrebbe,
appunto.
L’atmosfera è carica di aspettativa,
nella prima parte del romanzo, con l’incontro casuale dei due bambini.
Aspettativa gioiosa di Henriette che spera di vedere almeno il Trocadéro in
questa breve sosta. Aspettativa timorosa e ansiosa, traboccante di domande
quella di Leopold, teso fino allo spasimo nel desiderio di conoscere finalmente
la mamma, di sapere qualcosa, finalmente, su di sé. Bambini troppo adulti entrambi, una veramente
orfana di mamma, l’altro come se lo fosse. Che parlano un linguaggio ben poco
infantile, anche se poi Henrietta stringe a sé una scimmia di pezza. Anche noi
lettori siamo colmi di aspettativa, quando inizia la seconda parte.
Il tempo si riavvolge al passato, nella seconda parte. A dieci
anni prima e a prima ancora. A quando Karen diciottenne era arrivata a Parigi
per studiare arte ed era diventata amica della signorina Fisher. A quando aveva
conosciuto Max, a quando- in seguito- si era fidanzata con Ray Forrestier,
aveva saputo del fidanzamento di Max con la signorina Fisher, aveva rivisto
entrambi. Si era data appuntamento con Max…
La terza parte è un ritorno al presente,
tutto è stato spiegato, compare sulla scena Ray Forrestier, i due bambini si
separano, Henrietta parte per il Sud della Francia, Leopold per un futuro ancora incerto, ancora colmo di
aspettative.
“La casa di Parigi” è un libro intenso, un libro di silenzi, di spazi d’ombra (come
quelli delle stanze della casa), di sentimenti che dobbiamo intuire, a tratti
appesantito da un eccesso di descrizioni che combaciano con quello che stanno
provando i personaggi (la pioggia sottile e triste durante l’incontro tra Max e
Karen), e non sempre i dialoghi suonano spontanei. Eppure, è un romanzo che intriga, per gli stessi
motivi per cui a volte ci respinge- per la sua aria di segretezza, il contrasto
tra l’infanzia ignara e il mondo degli adulti che contiene tutte le risposte,
il giudizio inespresso dei bambini nei confronti di questo mondo che- lo
avvertono oscuramente- ha delle leggi tutte sue che possono danneggiarli.
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