Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
fresco di lettura
Margaret Forster, “La damigella sconosciuta”
Ed. e/o, trad. C. De Caro, pagg.
263, Euro 15,30
Titolo originale: The Unknown Bridesmaid
Aveva mentito. Nel momento in cui aveva
omesso di accennare a quella parte del pomeriggio, quella in cui aveva portato
il piccolo Reggie a fare una passeggiata, cominciò a sentirsi male. Le bugie
portavano altre bugie, le aveva sempre detto sua madre, e si finiva sempre nei
guai.
“La damigella sconosciuta”: c’è già tutto
nel titolo del romanzo di Margaret Forster. Quando Jane aveva otto anni, aveva
fatto da damigella d’onore al matrimonio della cugina Iris. Le avevano fatto
delle foto insieme agli sposi e alle altre damigelle. Anni dopo una di queste
foto era stata pubblicata su un giornale, per illustrare un articolo sui
cambiamenti della moda degli abiti da sposa nel tempo. La dicitura sotto la
fotografia indicava i nomi delle persone ritratte, tranne che per Julia, però, dove
si diceva ‘damigella sconosciuta’. E Julia resterà sconosciuta: è difficile
conoscere Julia, terminiamo la lettura del libro e non sappiamo che cosa
pensare di lei, ci pare di sapere tutto, eppure la sua personalità è sfuggente,
ambigua. Ed è su questo che gioca l’attrattiva sottile del romanzo, perché la
narrativa è in terza persona ma è interamente dall’unico punto di vista di
Julia, sia quando ricostruisce il passato, sia quando racconta il presente.
Julia era cresciuta con la
madre, aveva pochi ricordi del padre, morto presto. Una madre rigida, che aveva
idee chiare su quello che una bambina potesse o non potesse fare, su come
dovesse comportarsi, su che cosa fosse adatto per le sue orecchie di bambina e
che cosa invece non dovesse sapere. Per Julia bambina c’è sempre un alone di
mistero e di segretezza intorno ai grandi eventi di quei primi anni- la morte
prematura del marito della cugina poco dopo il matrimonio (e Julia ha
dimenticato di dare a Iris una scatoletta che lui le ha affidato in chiesa- un segreto, non deve parlarne con nessuno),
la gravidanza che strappa Iris dal torpore, il secondo dramma della scomparsa del piccolo Reggie. Questa
mancanza di chiarezza nel linguaggio, che contribuisce ad una certa confusione
mentale, è un retaggio di pudore vittoriano e ci aiuta ad entrare nel piccolo
mondo chiuso della provincia inglese. Il bambino Reggie non scompare, muore. E qui inizia la storia
della personalità doppia e contorta di Julia.
Nella narrazione che si svolge nel presente
Julia è una psicologa infantile e la vediamo intenta, nei vari capitoli, a
parlare con qualche bambina (le sue pazienti sono tutte bambine di una fascia
di età- non a caso- tra gli otto e i quindici anni).
Ci rendiamo conto, a poco
a poco, che le malefatte delle bambine, tutti i loro comportamenti anomali, le piccole
azioni di crudeltà criminale, il rifiuto delle persone che sono loro vicino, le
menzogne, i furtarelli- tutto ha un richiamo nel passato di Julia, nella
bambina che era e in quello che ha fatto. Julia che disobbedisce, spinge la
carrozzina di Reggie sul marciapiede facendola capovolgere: il bambino è morto
perché ha picchiato dalla testa o è morto per la sindrome ‘morte nella culla’?
comunque Julia tace, non confessa mai di essersi spinta fuori dal cancello. E’
questo primo occultamento della verità che provoca i comportamenti degli anni
seguenti che paiono essere suggeriti da uno spiritello maligno? E’ la gelosia
che la spinge a mettere in pericolo la cuginetta Elsa, nata dal secondo
matrimonio di Iris? E’ il desiderio di sentirsi invincibile che la spinge a
rubacchiare senza che nessuno se ne accorga? Finché ci sono episodi più gravi,
il marito di Iris la porta da una psicologa e Julia scappa.
Un romanzo capace di scavare, con
leggerezza, nella psiche infantile cercando nel passato le cause di una
fragilità interiore difficile da sanare nell’adulto, scritto con la
meravigliosa raffinatezza che sembra essere una prerogativa delle scrittrici
inglesi.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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