vento del Nord
il libro ritrovato
Henning Mankell, “Nel cuore profondo”
Ed. Mondadori, pagg. 347, Euro
17,50
E’ il 1914, è scoppiata la prima
guerra mondiale, la Svezia
si è dichiarata neutrale. A Lars Tobiasson-Svartman viene affidato un incarico
segreto: preparare delle nuove carte nautiche, misurando le profondità marine
per segnare rotte alternative. Sposato con una donna con cui scambia poche
parole, Lars ha bisogno di tenere tutto sotto controllo, eppure gli succede
qualcosa durante il viaggio a bordo della cannoniera, affiora in lui un’altra
persona. Quando incontra una donna su un’isola sperduta, se ne innamora. E’ una
follia progressiva che lo induce ad azioni e comportamenti al di fuori di ogni
legge, un crescendo di menzogne e violenze fino al condurre una doppia vita,
con una conclusione inevitabilmente drammatica.
INTERVISTA A HENNING MANKELL, autore di “Nel cuore profondo”
E’ la storia di due follie, il
nuovo romanzo “Nel cuore profondo” dello scrittore svedese Henning Mankell,
famoso per avere creato un personaggio leggendario nella letteratura di genere
poliziesco, il commissario Kurt Wallander. E l’inizio della storia, con una
donna che cerca di fuggire dall’ospedale psichiatrico in cui è rinchiusa da
ventidue anni, è il punto di arrivo di un viaggio iniziato nel 1914, ventitre
anni prima, quando Katrina Tacker aveva salutato il marito, Lars
Tobiasson-Svartman, con le parole, “Sta per iniziare quello che desideri da
tanto tempo”. Desiderava andarsene, Lars Tobiasson-Svartman, aveva sempre
desiderato prendere le distanze da tutto e da tutti, perché era vissuto in un
mondo fatto di distanze, tra lui e la madre, tra lui e il padre, tra sua madre
e suo padre. E il suo bene più prezioso, il batimetro, con il lavoro che lo
appassionava, misurare le profondità marine, gli permettevano di definire e
controllare le distanze. E’ un duplice viaggio nel paese dei ghiacci, quello
della nave e quello personale di Lars, immerso in una nebbia che impedisce di
vedere, e l’incontro con la donna dal tragico passato che vive in solitudine su
un’isola deserta e selvaggia porta fuori anche il lato selvaggio di Lars, quel
doppio che suo suocero e il capitano
della nave hanno intravisto, fiutando la menzogna intorno a lui.
Una volta che
Lars inizia a mentire, gli è facile proseguire: a Sara Fredrika, la donna
dell’isola, racconta di aver perso moglie e figlia, e poi le dirà che il disertore
tedesco approdato su quelle sponde si è suicidato; al ministero svedese
dichiarerà che ci sono delle misurazioni sbagliate che deve rifare; nelle bugie
intessute per la moglie Lars sviluppa il massimo dell’inventiva, chiedendo il
suo silenzio su missioni segrete e descrivendo itinerari mai fatti. Impossibile
fermare anche il percorso della violenza, una volta che si è iniziato. Uno
schiaffo in un momento di rabbia, un animale accoltellato senza motivo, un
omicidio dettato dalla gelosia, degli agguati con intenti mortali a persone per
cui prova rancore. E’ arrivato al fondo, quello che sognava, quello che il
batimetro non sarebbe mai riuscito a scandagliare? Non può che finire in un
abisso coperto dai lastroni di ghiaccio, questo viaggio nel cuore di tenebre.
C’è solo una persona che si salva, la donna dell’isola, temprata dalla
solitudine che le ha insegnato a tenere a bada la follia della sua disperazione
personale. Stilos ha incontrato a Milano lo scrittore svedese Henning Mankell.
“Nel cuore profondo” non è il suo primo romanzo senza l’ispettore
Wallander e tuttavia rappresenta un cambiamento: sentiva la necessità di
distaccarsi dal suo famoso personaggio?
In realtà le cose non stanno
proprio così, perché nei quindici anni in cui ho scritto di Wallander, ho
scritto anche altri otto libri. Perciò non è una novità che io cambi il genere
di romanzo che sto scrivendo, perché l’ho sempre fatto. Ho scritto “Nel cuore
profondo” non perché avessi bisogno di prendere le distanze dall’ispettore
Wallander, ma perché erano anni che pensavo a questa storia. Perché? Perché
volevo riflettere sul perché al mondo ci siano troppi uomini che mentono quando
si tratta di sentimenti. Ci sono troppi uomini che agiscono senza controllo dei
sentimenti nei riguardi delle donne, e se un uomo perde il controllo, può
sprofondare nell’abisso interno e può accadere di tutto. Ecco, a parte l’esperienza
personale che mi viene dall’essere un uomo, è dalla parola “abisso” che mi è
venuta l’ispirazione per una storia sull’abisso. Nel dramma “Woyzeck” di Georg
Büchner c’è una frase, “guardare dentro l’uomo è guardare in un abisso”. Sono
parole che hanno vissuto dentro di me per anni e da qui mi è venuta l’idea di
scrivere di un uomo e del suo abisso. Questo è il primo libro di una trilogia
sugli abissi in cui portano le menzogne.
All’inizio del romanzo leggiamo che Lars Tobiasson-Svartman ha aggiunto
il cognome della madre a quello del padre: è un cenno alla sua doppia
personalità? È un tentativo di tenere a bada la parte di sé che ha ereditato
dal padre, la sua violenza?
Proprio così, Lars
aggiunge il cognome di sua madre a quello di suo padre per tenere il padre a
distanza. Perché ha paura, teme che ci sia uno spirito cattivo nel nome del
padre. E il nome della madre è per lui come un riparo.
Leggiamo anche che sua moglie ha mantenuto il cognome da ragazza e si
parla sempre di lei indicandola con nome e cognome: lo ha fatto intenzionalmente
per far capire al lettore quanto sia distaccato il rapporto tra lei e il
marito?
In un certo senso sì, ed è vero che ho
usato i nomi con un intento preciso, per aggiungere una dimensione alla storia.
Per Katrina Tacker volevo usare il cognome da ragazza per indicare che non è
molto coinvolta con il marito. E mi piace che sia il lettore a cercare una
spiegazione. Ma l’idea della trama è che lui ha rapporti con due donne e arriva
al punto da dare lo stesso nome alle due figlie. Per questo particolare
l’ispirazione mi è venuta dall’Africa: nei tempi coloniali i portoghesi che
arrivavano in Mozambico erano soli, avevano lasciato la famiglia in Portogallo.
Trovavano lì nuove donne, si facevano una
nuova famiglia e davano ai bambini lo stesso nome di quelli che già
avevano a casa, e poi scrivevano alle mogli che era troppo pericoloso per loro
venire in Mozambico. E se poi queste venivano lo stesso e scoprivano che
c’erano delle altre donne e degli altri bambini, era tremendo. Come avviene nel
romanzo.
Gli altri due romanzi pubblicati in italiano che non fanno parte della
serie dei romanzi polizieschi sono ambientati in Africa o gettano uno sguardo
sull’Africa. “Nel cuore profondo” è ambientato al largo della costa della
Svezia, in un paese ghiacciato e raggelante. Ha un valore metaforico questo
paesaggio?
In tutto quello che scrivo il paesaggio è un personaggio. Perché credo che il
paesaggio dentro e fuori di noi sia molto importante. Tutti noi non facciamo
che parlare del tempo, tutte le azioni umane sono basate sul clima. Se mi
chiedessero quale è la differenza tra la Svezia e il Mozambico, direi che è il clima: ci
comportiamo secondo il clima, altrimenti piangiamo e ridiamo per le stesse
cose. Ma in Africa, per via del clima, si è meno vestiti e la vita erotica, per
forza di cose, è più veloce, ci vuole meno tempo a svestirsi.
I sogni ricorrono spesso nel romanzo: che valore attribuisce ai sogni?
Tutti sogniamo, molti
ricordano i sogni meglio di altri. Per esempio la scorsa notte ho sognato che
camminavo in un parco di Milano e c’era una donna seduta su una panchina che mi
pareva di aver già conosciuto. Gliel’ho chiesto e lei mi ha risposto di no, ma
io ho pensato che stesse mentendo. A questo punto il sogno ha assunto una
carica erotica, purtroppo mi sono svegliato. Tutti i sogni che ho, anche se
sogno di altre persone, sono un messaggio che mando a me stesso. Uso così il
sogno nel romanzo, faccio sognare i miei personaggi perché il sogno contiene
dei messaggi per il proprio io che possiamo scegliere di ascoltare oppure no. Domani
potrei provare a cercare la panchina con la donna del mio sogno: questo è un
sogno che Fellini avrebbe potuto utilizzare in un film- Fellini è uno dei miei
eroi.
Ha citato Fellini, sappiamo che lei ha sposato la figlia del grande
regista svedese Bergman: quali sono i suoi rapporti con Bergman?
Con Bergman c’è un rapporto di
parentela, ci vediamo spesso, ormai sono una delle poche persone con cui oggi
ha rapporti- ha 87 anni.
Parliamo di musica e della vita. Quando gli ho dato da
leggere il primo capitolo del romanzo ha commentato, “Mi piace, vorrei leggerlo
fino alla fine”. Per me è stato un incoraggiamento a finirlo. Quando si ha un
rapporto con un simile genio, è difficile capire quello che una persona così
può darci. Abbiamo delle cose in comune: tutti e due prendiamo la vita
seriamente, sappiamo che si vive una volta sola e che nella vita non si torna
indietro e bisogna prendere quello che c’è. Ho sempre cercato di capire perché
vivo e come è fatto il mondo che mi circonda e la stessa cosa fa Bergman. In
questo senso siamo fratelli e in questo senso usiamo l’arte come uno strumento
per capire la vita. Come faceva Leonardo che cercava di capire la vita che lo
circondava, come facciamo tutti, cercando di comprendere il senso della vita e
qual è lo scopo della nostra esistenza.
Ritornando all’ispettore Wallander: noi lettori siamo così affezionati
a lui che temiamo il momento in cui scomparirà dalla scena. Invecchierà e andrà
in pensione, o- senza svelare troppo del suo futuro- ha altri piani per lui?
Penso che farò seguire a Wallander il
percorso normale della vita, andrà in pensione tra 8 anni, quando ne avrà 65.
Riguardo ai piani che ho per lui, parteciperà ad un paio di romanzi con sua
figlia Linda e poi sparirà lentamente.
Perché ha sentito il bisogno di mettere in primo piano il personaggio di
Linda nel libro “Prima del gelo”, in cui è lei la protagonista come ispettore
di polizia? Per cambiare o per offrire al lettore un altro punto di vista su
Wallander?
Che cosa prova per un personaggio che ha preso vita al di fuori delle
pagine dei libri?
Per Wallander provo sentimenti
contradditori. Devo dire che nell’insieme non mi piace, perché ha dei lati
cattivi, a volte tratta male le persone. Sono diverso da lui, in comune abbiamo
l’età, l’amore per l’opera e il fatto che lavoriamo molto. Se esistesse
veramente non saremmo amici. E’ più facile scrivere di una persona che non ti
piace, perché non c’è molto da dire di una persona che ti piace. Prendiamo
“Otello”, per esempio: il personaggio più affascinante è Iago, penso che a
Shakespeare interessasse più Iago di Otello. E penso sia così per tutti.
Lei dirige un teatro in Mozambico: che cosa l’ha portata in Mozambico?
La risposta non è semplice. In breve: da
giovane volevo avere una prospettiva sul mondo da fuori dell’Europa. Sono
andato in Africa per quello ed è per quello che sono ancora là. Credo che l’esperienza
africana mi dia una visione migliore del mondo. Prima ancora di scrivere
romanzi, ero regista e scrittore di teatro, sono stato invitato a lavorare con
il Teatro Nazionale di Maputo e lavoro ancora con loro. E’ un’avventura meravigliosa
ed è per questo che vivo per lo più là.
Un altro suo libro verrà pubblicato questo mese in Italia, “Io muoio ma
il ricordo vive”, sui bambini i cui genitori sono morti di Aids. In un altro
libro, “Comédia infantil”, c’è un ragazzino che racconta la sua vita prima di
morire: è la condizione dei bambini che la colpisce di più in Africa?
Sì e no. La condizione dei
bambini mi tocca in profondo perché viviamo in un mondo terribile e ci sono
tante cose tremende che avremmo potuto risolvere. Soprattutto per quello che
riguarda i bambini, avremmo potuto aiutare molti bambini a vivere e invece
abbiamo scelto di non farlo. Ho scritto molti libri in cui i bambini hanno una
parte importante, ma non è stata una decisione, l’ho fatto perché per me è
fondamentale.
recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos
Nessun commento:
Posta un commento