Voci da mondi diversi. America Latina
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Roberto Ampuero, “Il sicario di Fidel”
Ed. Garzanti, trad. Stefania
Cherchi, pagg. 345, Euro 19,60
Il grande poeta Pablo Neruda aveva rubato
la scena a Cayetano Brulé già nel romanzo precedente di Roberto Ampuero, “Il
caso Neruda”. In questo nuovo libro, “Il sicario di Fidel”, è nientedimeno che
Fidel Castro a soppiantare il proletario dell’investigazione, il detective di
Valparaíso
che è nato a Cuba e sfoggia dei baffoni alla Pancho Villa, nel ruolo di
protagonista. Perché ancora una volta Roberto Ampuero tesse una storia di
delitti, di inseguimenti, di misteri e di indagini per raccontarci una parte
della storia dell’America Latina. Una parte piccola, vista da un’angolatura
ristretta, ma che lascia immaginare un quadro più ampio.
L’azione dura poco meno di due mesi, dal 5 gennaio al 26 di febbraio.
Inizia a L’Avana, con l’arresto del generale Horacio De la Serna, accusato di
aver diretto l’operazione Foros con l’obiettivo di uccidere ‘il Comandante’.
Osserviamo tra parentesi che questo personaggio- che verrà condannato a morte-
porta il secondo cognome (quello della famiglia materna) di Ernesto Che
Guevara, una delle molte persone vicinissime a Fidel (di certo il più famoso)
che ad un certo punto scomparvero, vittime di agguati, incidenti, esecuzioni.
Come Camilo Cienfuegos. O il generale Ochoa.
L’operazione Foros era stata
programmata da Revolucion Democratica, il partito dei cubani espatriati a Miami
che continuavano a tramare per abbattere il regime di Fidel e poter così
ritornare in possesso delle loro proprietà sull’isola. Anche se Fidel era
convinto che ci fosse la Cia dietro di loro. Niente affatto, anzi. Da adesso la
trama si fa serratissima seguendo filoni diversi: il cubano che è a capo di
Revolucion Democratica contatta l’unico uomo che può essere in grado di
uccidere Fidel, mentre la Cia contatta il nostro Cayetano Brulé perché scopra chi sia il killer. Ci penseranno poi gli
uomini della Cia a fermarlo. Perché, nonostante tutto, gli Stati Uniti non
vogliono che cambi qualcosa a Cuba, non è nel loro interesse in questo momento.
Da Miami ad un’isola sperduta nell’estremo
Sud del Cile per contattare il sicario: vive qui, in totale isolamento l’uomo
disilluso che aveva combattuto nelle Truppe speciali cubane e che si lascia
convincere a tornare in campo. Dall’isola di Chiloé a Berlino e poi a San
Pietroburgo: questo il percorso del killer che arriverà a Cuba dopo aver
affidato un cane ad un diplomatico (strapagato per tenere il cane nel suo
giardino a L’Avana). Mentre invece Cayetano vola dal Cile a Chicago, irretito
dalla Cia che non gli lascia alcuna possibilità di rifiutare l’incarico. Si
metterà poi sulle tracce del killer seguendo le orme del mandante. Destinazione
finale: L’Avana.
E’ inutile dire che la nuova ‘indagine’ di
Cayetano Brulé è singolare: non deve scoprire l’assassino per inchiodarlo con
la sua colpa, ma deve scoprirlo per impedirgli di uccidere un uomo che- e noi
lettori lo sappiamo benissimo- non
ucciderà. ‘L’uomo con la barba’ (o ‘il Comandante’) si aggira in tutto il
romanzo, un Fidel stanco e ammalato che soffre di insonnia e di notte scivola
in auto lungo le strade dell’Avana, scortato e accompagnato da fedeli guardie
del corpo. Governa un’isola passiva che si è arresa nell’inerzia, che aspetta
che prima o poi il Comandante muoia di morte naturale.
C’è un filo conduttore tra “Il caso Neruda” e “Il sicario di Fidel” ed è
il tema della desolazione per la fine di un’utopia, vista attraverso l’occhio
di Cayetano, il ‘private eye’. Cayetano era giovane nel primo romanzo quando
era testimone della fine di Allende in Cile. Ora, quasi quarant’anni più tardi,
l’utopia si sta sgretolando nella sua roccaforte più luminosa e Cayetano si
interroga se sia giusto quello che sta facendo, ritardandone la fine.
Anche se sappiamo che Fidel non è stato ucciso in un attentato,
siamo trascinati nella vicenda, un po’ perché il brivido c’è (muoiono altri, al
posto di Fidel), un po’ perché siamo incuriositi dai dettagli del piano e poi perché
siamo conquistati dal fascino decadente di Cuba e dalla sua arte della
sopravvivenza.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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