giovedì 11 settembre 2025

Tommaso Giagni, “La fabbrica e i ciliegi” ed. 2025

                                                                           Casa Nostra. Qui Italia


Tommaso Giagni, “La fabbrica e i ciliegi”

Ed. Ponte alle Grazie, pagg. 224, Euro 16,50

 

    Una tragedia dimenticata. Meglio, una tragedia ignorata.

Nel 1978 lo stabilimento dell’azienda SLOI fu definitivamente chiuso dopo un incendio che avrebbe potuto provocare una catastrofe ambientale se non fosse stato per l’intervento dei Vigili del Fuoco di Trento comandati dall’ingegner Salvati che capì che utilizzare l’acqua avrebbe peggiorato la situazione a contatto con il sodio e che solo il cemento poteva spegnere la combustione del sodio.

La società produceva miscele antidetonanti per benzine, costituite essenzialmente da piombo tetraetile ed era stata una fabbrica strategica per l’aviazione dell’Asse, l’unica in tutta Europa in grado di produrre piombo tetraetile aggiunto alla benzina degli aerei da guerra.


    Già nel 1942 dei contadini che vivevano nel quartiere di Campotrentino si accorsero che i fumi provocati dalla SLOI distruggevano i loro raccolti di ciliegie e ci furono casi di malattia degli operai, continue denunce per le esalazioni tossiche provenienti dagli stabilimenti e dagli scarichi nelle acque stagnanti del canale là accanto. Gli studi fatti mostravano che la produzione del piombo tetraetile era nociva per la salute e provocava il saturnismo, una intossicazione cronica dovuta all’esposizione accidentale o professionale al piombo.

   Eppure tutte le denunce caddero nel vuoto. Come sempre, è l’economia a far girare il mondo, le vittime ricoverate al manicomio di Pergine, il loro saturnismo classificato come ‘etilismo’, non interessavano a nessuno.


    A volte ci vuole un romanzo per risvegliare i ricordi, per attirare l’attenzione. “La fabbrica e i ciliegi”di Tommaso Giagni è un tuffo nel passato, è una chiarificazione della memoria, è un libro necessario.

    Sono due le immagini di fiori presenti nel libro- i ciliegi accostati alla fabbrica nel titolo, quegli alberi dalla bellezza effimera che non fioriscono più per l’inquinamento del terreno e dell’aria diventando un’immagine di morte, e l’orchidea di palude che appare nell’ultima pagina del libro. Deve ancora fiorire, l’orchidea di palude, nel luogo del cuore di Marilù, una dei protagonisti, però è là, un bulbo sott’acqua che poi fiorirà. È una promessa di speranza e di vita per il futuro. Morte e vita si intrecciano nel romanzo.

    


Cesare, il cinquantenne personaggio principale, è nato dopo la morte del padre. È nato a Trento ma, poco dopo, sua madre si è trasferita a Roma. A lui ha sempre detto che il padre è morto di leucemia. È alla morte della madre che Cesare, ricercatore universitario, trova delle carte, delle lettere che gli insinuano il dubbio che sua madre gli abbia mentito. Per proteggerlo, certo, ma non gli ha detto che suo padre è morto in manicomio.

    Cesare parte, va a Trento, inizia la sua ricerca della verità.

     La storia di Cesare, dello stabilimento dei veleni, di suo padre e di sua madre- una storia che spiega tutto quello che è successo e che è stato insabbiato- si incrocia con una storia minore, di Loris e di Marilù. Ognuno dei due si allontana dal luogo in cui è cresciuto e che sente come una prigione, entrambi si muovono alla ricerca di sé rielaborando il proprio passato. Ed è questo che le diverse storie, i casuali incontri dei personaggi hanno in comune- la necessità di fare i conti con il proprio passato, senza finzioni, qualunque sia il dramma che contiene.

    Uno stile pulito, quasi scolpito. Frasi brevi, nessuna sbavatura. Un romanzo che si legge con piacere, con interesse, con sdegno, che ci lascia turbati per la denuncia che contiene e per le vicende umane che in questa sono coinvolte.



 

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