Voci da mondi diversi. Giappone
Aki Shimazaki, “Una campanella silenziosa”
Ed.
Feltrinelli, trad. Cinzia Poli, pagg. 544, Euro 20,90
Ha una sua cifra stilistica, Aki Shimazaki,
che la rende immediatamente riconoscibile, che fa sì che i suoi romanzi non
possano essere confusi con quelli di nessun altro scrittore giapponese. C’è un
rincorrersi di immagini fiorite, nei suoi libri, la scelta di fiori, o alberi,
o perfino insetti, che diventano una sorta di leit-motiv, che, per il
significato nascosto che racchiudono, finiscono per identificarsi con un
personaggio, si fanno metafora per questo.
La famiglia Nire è la protagonista della
nuova pentalogia di Aki Shimazaki- questa è un’altra peculiarità della
scrittrice, dividere il suo racconto in cinque libri in ognuno dei quali il
fuoco dell’attenzione è su un personaggio.
Nire è l’olmo, un albero. Un albero dà l’idea di solidità, dà l’idea di famiglia, con i rami che si protendono a promettere una nuova stagione.
Padre,
madre, due figlie un figlio. Padre e madre vivono in una casa di riposo perché
lei, Fujiko, ha il morbo di Azheimer. Le due figlie sono diversissime tra di
loro- Kyoko, che è nata il primo di maggio, il giorno del mughetto, la
campanella bianca che è il simbolo ricorrente nel libro, è molto bella, passa
da un uomo all’altro, vive a Tokyo e lavora presso un’azienda americana; Anzu è
una ceramista famosa per le sue creazioni squisite di vasi per l’ikebana, è
divorziata con un figlio; Nobuki, il figlio ‘imprevisto’ arrivato tardi, non ha
seguito l’usanza giapponese di vivere con la sua famiglia in casa dei genitori prendendosene cura, è un ingegnere e abita
poco lontano.
Le
vicende della famiglia potrebbero essere banali, potrebbero rasentare il
feuilleton se non fossero ‘salvate’ dalla delicatezza di Aki Shimazaki, dalla
maniera in cui inserisce ogni pezzo del puzzle per completare l’insieme, per
svelare segreti che resterebbero nascosti se non fosse per quella strana
maniera di funzionare del cervello umano che funge da filtro quando è colpito
da malattia, come se la verità fosse, alla fin fine, la cosa più importante.
monte Daisen
Fujiko (il suo nome significa ‘figlia del
Fuji’) è convinta che il monte Daisen che vede ora, da Yonago dove vivono, sia
ancora il Fuji della sua infanzia, non riconosce più né marito né figli, anzi,
pensa che il marito sia il suo fidanzato e torna a dargli del ‘lei’ e non vuole
più dormire con lui accanto. Ricorda però una sua vecchia amica, ricorda un
famoso direttore d’orchestra a cui insiste di dovere restituire dei soldi.
Perché? prima di perdersi nel passato, aveva detto al figlio che si sarebbe
separata dal marito, che non poteva più vivere con lui. Quali segreti, quali
sofferenze nasconde il loro matrimonio?
E poi c’è Kyoko, la figlia del mughetto. Attenzione, il mughetto sembra candido e innocente, eppure può anche essere velenoso. Anche la bella Kyoko è così. Senza che la sorella Anzu lo sapesse, Kyoko le ha fatto del male, perché Kyoko sembra incapace di amare.
Ogni personaggio, in ogni generazione (sono
quattro i giovani Nire figli dell’uno e delle altre), si svela a poco a poco.
Le storie si intrecciano, tra passato e presente, la vecchia cultura del ‘miai’
(l’incontro formale in cui si valutava la possibilità di un matrimonio fra un
ragazzo e una ragazza che non si conoscevano) è sostituita dal ‘goukon’
(appuntamento di gruppo organizzato per fare nuove conoscenze), tradimenti,
divorzi, amori gay- una volta impensabili o tenuti nascosti- ora vengono
accettati. Ed è straordinario come la lieve smemoratezza di Fujiko, il suo aver
mollato l’ancora della realtà, il suo ritorno al passato senza alcun senso di
colpa, -‘era una notte di luna piena’, dice come unica giustificazione-, dia
l’avvio ad una rivisitazione del presente, dei legami famigliari, con una nuova
accettazione di sé.
Abbiamo più volte sottolineato lo stile
minimalista della scrittura di Aki Shimazaki, in perfetta armonia con il
contenuto dei suoi libri. Posso paragonarlo solo ai dipinti tratteggiati con
punta fine che ammiriamo sui pannelli giapponesi.



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