Casa Nostra. Qui Italia
Ed.
Ponte alle Grazie, pagg. 224, Euro 16,50
Una
tragedia dimenticata. Meglio, una tragedia ignorata.
Nel
1978 lo stabilimento dell’azienda SLOI fu definitivamente chiuso dopo un
incendio che avrebbe potuto provocare una catastrofe ambientale se non fosse
stato per l’intervento dei Vigili del Fuoco di Trento comandati dall’ingegner
Salvati che capì che utilizzare l’acqua avrebbe peggiorato la situazione a
contatto con il sodio e che solo il cemento poteva spegnere la combustione del
sodio.
La società produceva miscele antidetonanti per benzine, costituite essenzialmente da piombo tetraetile ed era stata una fabbrica strategica per l’aviazione dell’Asse, l’unica in tutta Europa in grado di produrre piombo tetraetile aggiunto alla benzina degli aerei da guerra.
Già nel 1942 dei contadini che vivevano nel
quartiere di Campotrentino si accorsero che i fumi provocati dalla SLOI
distruggevano i loro raccolti di ciliegie e ci furono casi di malattia degli
operai, continue denunce per le esalazioni tossiche provenienti dagli
stabilimenti e dagli scarichi nelle acque stagnanti del canale là accanto. Gli
studi fatti mostravano che la produzione del piombo tetraetile era nociva per
la salute e provocava il saturnismo, una intossicazione cronica dovuta
all’esposizione accidentale o professionale al piombo.
Eppure tutte le denunce caddero nel vuoto. Come sempre, è l’economia a far girare il mondo, le vittime ricoverate al manicomio di Pergine, il loro saturnismo classificato come ‘etilismo’, non interessavano a nessuno.
A
volte ci vuole un romanzo per risvegliare i ricordi, per attirare l’attenzione.
“La fabbrica e i ciliegi”di Tommaso Giagni è un tuffo nel passato, è una
chiarificazione della memoria, è un libro necessario.
Sono due le immagini di fiori presenti nel
libro- i ciliegi accostati alla fabbrica nel titolo, quegli alberi dalla
bellezza effimera che non fioriscono più per l’inquinamento del terreno e
dell’aria diventando un’immagine di morte, e l’orchidea di palude che appare
nell’ultima pagina del libro. Deve ancora fiorire, l’orchidea di palude, nel
luogo del cuore di Marilù, una dei protagonisti, però è là, un bulbo sott’acqua
che poi fiorirà. È una promessa di speranza e di vita per il futuro. Morte e
vita si intrecciano nel romanzo.
Cesare, il cinquantenne personaggio principale, è nato dopo la morte del padre. È nato a Trento ma, poco dopo, sua madre si è trasferita a Roma. A lui ha sempre detto che il padre è morto di leucemia. È alla morte della madre che Cesare, ricercatore universitario, trova delle carte, delle lettere che gli insinuano il dubbio che sua madre gli abbia mentito. Per proteggerlo, certo, ma non gli ha detto che suo padre è morto in manicomio.
Cesare parte, va a Trento, inizia la sua ricerca della verità.
La storia di Cesare, dello stabilimento
dei veleni, di suo padre e di sua madre- una storia che spiega tutto quello che
è successo e che è stato insabbiato- si incrocia con una storia minore, di
Loris e di Marilù. Ognuno dei due si allontana dal luogo in cui è cresciuto e
che sente come una prigione, entrambi si muovono alla ricerca di sé
rielaborando il proprio passato. Ed è questo che le diverse storie, i casuali
incontri dei personaggi hanno in comune- la necessità di fare i conti con il proprio
passato, senza finzioni, qualunque sia il dramma che contiene.
Uno stile pulito, quasi scolpito. Frasi
brevi, nessuna sbavatura. Un romanzo che si legge con piacere, con interesse,
con sdegno, che ci lascia turbati per la denuncia che contiene e per le vicende
umane che in questa sono coinvolte.





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