Voci da mondi diversi. Medio Oriente
Abraham Yehoshua, “Il tunnel”
Ed. Einaudi, trad. A. Shomroni, pagg.
344, Euro 20,00
“-Allora
ricapitolando,- dice il neurologo.
-Sì, ricapitolando,-
sussurra la coppia.
- I disturbi non sono del
tutto inventati. Abbiamo veramente rilevato un’atrofia del lobo frontale, che
potrebbe suggerire una lieve degenerazione neuronale.”
E’ il timore- più che il timore,
l’incubo di chiunque non sia più giovane- il sentirsi fare questa diagnosi. Il
dover fronteggiare il decadimento delle proprie capacità intellettive, arrivare
al punto di non saper riconoscere chi ci è caro, la moglie, il marito, i figli,
di non ricordarsi neppure il proprio nome. Chi siamo, che cosa resta di noi e
della nostra identità se si spegne la luce sul nostro passato? E non solo sul
passato.
Il nuovo romanzo del grande scrittore israeliano Abraham Yehoshua inizia
con la scena di Zvi Luria e la moglie che ascoltano le parole del medico. Zvi,
settantatre anni, in pensione da cinque dopo aver lavorato a progettare strade
e autostrade per l’ente Percorsi di Israele, non aveva badato ad alcune
smemoratezze. Poi era successo che aveva preso il bambino sbagliato all’uscita
dall’asilo, invece del proprio nipotino. Sì, è vero che il bambino che gli
aveva dato fiduciosamente la manina era in cerca di un nonno che non aveva e lo
aveva trovato in lui, ma ugualmente…Ecco perché gli accertamenti. Seguiti dai
consigli del medico di combattere la malattia, di far funzionare il cervello,
di continuare far l’amore con sua moglie. Il suggerimento della moglie è di
trovarsi un lavoro di consulenza, dopotutto ha un’esperienza non da poco come
costruttore di strade. E il caso fa sì che il figlio di un ex collega non veda
niente di strano nell’accettare la sua proposta di collaborazione: sta
lavorando ad un progetto per costruire una strada segreta attraverso il deserto
del Negev. Sarebbe una bella sfida per Zvi che ha sempre lavorato nel Nord del
paese. Ed è proprio Zvi a suggerire, invece di spianare una collina su cui ci
sono dei resti nabatei, di scavare un tunnel che potrebbe anche rendere più
facile il controllo della strada. E risolverebbe anche l’altro problema- non
danneggiare tre palestinesi (padre e due figli) che, per una strana situazione
vivono lì senza carta di identità, non più palestinesi ma neppure israeliani.
Questo è un libro della piena maturità dello scrittore che esplora il
tema della malattia- quella mentale di Zvi e quella fisica (un tumore al
pancreas) dell’ex collega padre dell’ingegnere che accetta la collaborazione
di Zvi. Perché è inutile girarci intorno: se non si muore giovani (e purtroppo
non è così poco comune in un paese sempre sull’orlo della guerra come è Israele),
saranno il cancro o l’Alzheimer a mettere fine alla nostra vita. E Abraham
Yehoshua diventa interprete delle nostre paure cercando di scherzarci sopra,
suggerendo strategie per ingannare la malattia, per rallentare, se possibile,
il suo inesorabile progredire. C’è ironia macabra nella scena in cui Zvi si fa
tatuare sul braccio il numero dell’antifurto dell’automobile- un numero tatuato
ha sempre identificato un ebreo che è stato internato nei lager nazisti, con
Zvi il numero della morte diventa il numero della salvezza insieme ad altri
accorgimenti, come appuntarsi su un taccuino dove abbia parcheggiato la
macchina o avere due cellulari con sé.
Il cratere di Ramon nel Negev |
C’è altro ancora nel romanzo di
Yehoshua. C’è un filone politico nella trama secondaria dei tre palestinesi
senza identità- e il tunnel del titolo acquista un valore metaforico-, ci sono
le frequenti frecciate alla corruzione che non risparmia Israele, si accenna con
rimpianto ai grandi leader come Ben Gurion e Rabin, e poi c’è l’amore. L’ho
lasciato per ultimo perché il legame d’amore tra Zvi e la moglie è dolcissimo e
commovente. E’ l’amore che salva il mondo o, se non il mondo, può salvare Zvi.
Ed è il più bel messaggio che lo scrittore possa inviare alla sua Ika, morta
due anni fa. Un intero romanzo con la dedica iniziale, Alla mia Ika. Infinito amore.
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