vento del Nord
specchio dei tempi
FRESCO DI LETTURA
Henning Mankell, “Le
ragazze invisibili”
Ed. Marsilio, trad. Giorgio Puleo, pagg. 314, Euro 18,00
C’è una citazione
dello stesso Mankell, del nostro amato Mankell, nella quarta di copertina de
“Le ragazze invisibili”, appena pubblicato dalla casa editrice Marsilio
(preciso subito: non è un libro di Mankell uscito da un cassetto per un gioco
di prestigio, in Svezia è stato pubblicato nel 2001). “Non sopporterei di non ridere di cuore almeno una volta al giorno. “Le
ragazze invisibili” ha offerto spazio
alla vena satirica che porto dentro di me”.
Ridiamo spesso anche noi, leggendo “Le ragazze invisibili”. Almeno
finché raggiungiamo la metà del libro, finché si accumulano le parole di Leyla,
Tanja e Tea-bag, si aggiungono dettagli alle loro storie e allora la nostra
risata si spegne, l’umorismo della prima parte si smorza, la commedia diventa
tragedia e però, in qualche maniera, c’è sempre un guizzo di humour ad
alleggerire il peso di quello che veniamo a sapere.
Il protagonista è Jesper Humlin, poeta noto
e rispettato ma molto poco venduto.
Le protagoniste sono tre ragazze immigrate
da paesi diversi, in fuga da realtà che hanno solo l’atrocità in comune.
Protagonista del romanzo è il mondo nuovo
in cui viviamo dove nuove realtà si impongono alla nostra consapevolezza.
Humlin
incontra per caso le
tre ragazze a Göteborg,
dove è andato per una presentazione, e si lascia coinvolgere in un corso di
scrittura. Lui è recalcitrante, ci sono dei malintesi, l’episodio iniziale che
ci fa ridere, di Jesper Humlin che finisce in ospedale perché ha sfiorato la
guancia di una ragazza, è il segnale della distanza fra due culture- quella dei
paesi ricchi occidentali ha una sordità selettiva nei confronti di quella dei
paesi meno fortunati. Che non hanno le parole per farsi intendere. Ecco,
bisogna dare una voce agli immigrati, bisogna farli uscire dall’ombra e dal
mutismo, per far sapere le loro storie, per non lasciar pensare che sono degli
invasori che vanno ricacciati indietro. Humlin ascolterà le ragazze parlare,
con il pretesto del corso di scrittura.
Non si può parlare di romanzo di formazione con un personaggio che non è
certo un ragazzino. Eppure c’è una lenta evoluzione in Jesper Humlin i cui
problemi maggiori sono come gestire una madre quasi novantenne (ardita, però,
la signora che fa sesso telefonico a pagamento per clienti anziani), una
fidanzata che vorrebbe avere un figlio da lui (ma Humlin è l’eterno immaturo),
un editore che lo spinge a scrivere un thriller di cui ha già divulgato il
titolo ai giornalisti. Alcune scene sono esilaranti, ridiamo. Tutto acquista
un’altra proporzione quando Leyla (viene dall’Iran), Tanja (di Smolensk),
Tea-bag (arriva da un paese africano) incominciano a trovare le parole per le loro storie. Non importa il paese di
provenienza, oltre a sfondi di guerre c’è sempre la violenza odiosa sulle
donne- stupri, acido sfigurante, prostituzione forzata- e poi, quando, dopo
vicissitudini infinite, sono finalmente arrivate nella Terra Promessa, si sono
trovate ad affrontare una montagna di altre difficoltà. Prima di tutte quella
di acquistare un’identità. Come, però, se, dichiarando quella vera, sarebbero
rimpatriate? Equivarrebbe ad una sentenza di morte.
C’è il Mankell che conosciamo, dietro la figura di Jesper Humlin che non
pensa al successo e alle vendite quando decide che sarà lui la voce delle
ragazze, sarà lui che le renderà visibili e le farà uscire dall’ombra. Perché,
da questo romanzo di ombre, di ragazze invisibili dai molti nomi e dai molti
passaporti, è l’ombra di Henning Mankell, morto troppo presto, nel 2015, che
balza fuori a riempire un vuoto. La sensibilità di Mankell ai problemi della
nostra società, la sua lungimiranza e la sua coerenza di idee e narrativa sono
stupefacenti se pensiamo che è trascorso quasi un ventennio da quando ha
scritto “Le ragazze invisibili”. Speriamo che le nostre parole di ammirazione e
stima lo raggiungano, dovunque la sua ombra si aggiri.
la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.net
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