Casa Nostra. Qui Italia
premio Campiello
FRESCO DI LETTURA
Donatella Di Pietrantonio, “L’Arminuta”
Ed. Einaudi, pagg. 163, Euro
17,50
L’arminuta, la ritornata. La chiameranno
così i compagni di scuola, con la sottile cattiveria degli adolescenti, questa
ragazzina tredicenne che è ritornata dalla sua vera famiglia che però lei non
ha mai conosciuto. Con una valigia e una sacca di scarpe suona alla porta. Le
apre una bambina con i capelli sporchi e l’aria stracciona. Sua sorella
Adriana. Ci sono anche dei fratelli. Il più piccolo è in braccio alla madre. E’
sua madre, questa donna sconosciuta? Lei ha sempre chiamato mamma quella che ha
lasciato in città.
Ci domanderemo per tutto il libro- come se
lo domanda lei- perché la bambina sia stata ‘restituita’, come un pacco
rispedito al mittente. E’ ammalata quella mamma che ormai non sa più come
chiamare? Non sa neppure come chiamare questa, di mamma. Così non la chiama
affatto. La casa piccolissima, il letto in cui dorme testa-piedi con Adriana,
il cibo scarso e non certo buono come quello a cui era abituata, i fratelli che
la tormentano, Vincenzo, il fratello maggiore, che si infila nel suo letto, il
piccolino che non è uguale agli altri bambini della sua età, la diversità che-
è innegabile- c’è tra i suoi modi e quelli di tutti i membri della famiglia- il
cambiamento è un trauma per lei che spera a lungo di tornare ‘a casa’. Quando tornerà,
quando avrà saputo il perché dell’allontanamento, non sarà per restare e la
aspetterà il dolore di un’altra separazione.
Donatella Di Pietrantonio mostra una
sensibilità straordinaria nel parlarci dei sentimenti di una ragazzina sulla
soglia dell’adolescenza sottoposta a prove che la fanno soffrire e crescere.
Avevo appreso leggendo “Accabadora” di Michela Murgia (un altro Premio
Campiello, nel 2010, proprio come “L’Arminuta” che lo ha vinto nel settembre di
quest’anno, 2017, e osservate la strana assonanza dei due titoli pur in due
dialetti diversi) che in Sardegna si chiama ‘fillus de anima’ il bambino
‘regalato’ da una madre povera ad una donna che non può diventare madre,
diventando da figlio di sangue a figlio dell’anima. La narratrice senza nome
del romanzo di Donatella Di Pietrantonio è una ‘figlia dell’anima’ che trova
più doloroso, nel suo percorso di crescita, capire ed accettare il secondo
abbandono del primo. E’ facile capire perché sia stata ceduta a sei mesi. Un
compagno di scuola dice brutalmente in faccia alle due sorelle che i loro
genitori sono come conigli. Più difficile giustificare la restituzione alla
vera famiglia in un’età in cui è ancora abbastanza piccola da piangere il
distacco dalla mamma e tuttavia abbastanza grande da vedere la frattura, da
paragonare, da ricordare, da rimpiangere, da sentire nostalgia.
Non è soltanto il punto di vista dell’ ‘arminuta’, con la difficoltà dei suoi rapporti con coloro che, a tutti gli effetti, sono
degli estranei per lei (è per questo che le voglie del fratello Vincenzo non ci
sembrano neppure incestuose), su cui il lettore si trova a riflettere. Insieme
ad Adriana, la sorella ritrovata che, unica, offre all’arminuta il tesoro del suo affetto totale, le altre due protagoniste
del romanzo sono le due madri che pongono il problema della responsabilità e del significato della
maternità in un Abruzzo ancora molto povero (un riferimento all’appena
inaugurato Gardaland da parte di Adriana ci aiuta a collocare il tempo della
vicenda) negli anni prima della pillola quando una gravidanza poteva essere un
fardello da accettare fatalisticamente e la colpa della sterilità era da
attribuirsi solo alla donna.
Un romanzo di formazione molto bello, uno
stile che scorre veloce e pulito, un’ambientazione tra un paese e una città che
non sono mai nominati- della città sappiamo solo che si affaccia sul mare e la
scoperta del mare da parte di Adriana è tenera e commovente, come quella di
Carlino nel famoso romanzo di Ippolito Nievo.
gli altri romanzi di Donatella Di Pietrantonio sono recensiti nei post del 2014 sotto l'etichetta 'Casa Nostra. Qui Italia'.
Nessun commento:
Posta un commento