Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
Diaspora
satira
il libro ritrovato
Gary Shteyngart, “Absurdistan”
Ed. Guanda, trad. Katia Bagnoli,
pagg. 364, Euro 16,00
Al russo Miša Vainberg non viene
concesso il visto per tornare in America dove ha studiato e dove vive la donna
che ama perché suo padre ha ucciso un uomo d’affari dell’Oklahoma. Quando l’auto
di suo padre salta per aria a causa di una mina, il grassissimo Miša riesce a
comperarsi un passaporto belga, ma deve tuttavia passare attraverso uno degli
stati dell’ex URSS, l’Absurdistan, e si trova nel mezzo di una guerra civile-
una manovra americana nella guerra del petrolio?
INTERVISTA A GARY
SHTEYNGART, autore di “Absurdistan”
“Absurdistan”:
per una volta un titolo, quello del romanzo di Gary Shteyngart, uguale
nell’edizione originale e in italiano e ugualmente carico di anticipazioni sul
contenuto del libro che ci accingiamo a leggere. “Questo è un libro
sull’amore”, dice la frase iniziale. “E’ anche un libro sul troppo amore. E sull’inganno.”, procede
il testo più avanti. E’ vero, c’è l’amore in “Absurdistan”- per l’Amato Babbo,
per New York, per la florida Rouenna. Eppure quello che prevale, nel romanzo, è
la frustrazione da mancanza d’amore o da amore sbagliato, quel “troppo” amore
di cui parla il protagonista. Perché ci deve essere un motivo- solo accennato,
perché è come una spina- per la dimensione enorme di Miša Vainberg.
Miša è
quello che clinicamente verrebbe chiamato un grande obeso e le sue
straordinarie misure sono continuamente sottolineate, a diventare elemento
portante grottesco della storia, parte integrante del filone satirico
antiamericano, contrasto continuo con quell’io interno di Miša che è rimasto
fanciullo indifeso, gigante della swiftiana Brobdingnag abitato da un
lillipuziano. Miša Vainberg è il figlio del 1238° uomo più ricco di Russia che
era finito in prigione negli anni ‘80 per aver rapito il barboncino antisemita
del vicino di casa e avergli pisciato addosso davanti alla sede del KGB. La
prigione era stata la sua fortuna, perché lì aveva conosciuto tutti quelli che
gli sarebbero stati utili per una reincarnazione da oligarca. C’è tutta la
nuova Russia del dopo Gorbačev nell’Amato Babbo e nel suo erede Miša, e gli
strali di Shteyngart, nato a Leningrado nel 1972 ed emigrato negli Stati Uniti
all’età di sette anni, sono diretti in pari maniera verso la società
postcomunista e quella americana. Il suo Miša, che ha studiato
multiculturalismo all’americano Accidental College (che è come dire il college
per caso) con i soldi di papà, resta bloccato a San Pietroburgo (diventata, nel
suo significativo vocabolario, San Leninburgo, diversa ma sempre uguale) perché
non riesce ad ottenere il visto per rientrare negli Stati Uniti: a quanto pare
suo padre ha ucciso un americano con questo intento, perché Miša non si
allontanasse più da lui. Che è poi quanto succede su vasta scala nella parte
centrale del romanzo- ammazzare a scopo…possiamo dire absurdo?Perché Miša Vainberg, nelle sue picaresche avventure per uscire dalla Russia, finisce in Absurdistan, nel bel mezzo di una guerra civile tra le due fazioni di sevo e di svanï che si differenziano per l’inclinazione a destra o a sinistra del poggiapiedi sulla croce di Cristo, un po’ come nei “Viaggi di Gulliver” i due partiti di Lilliput dei Tacchi Alti e Tacchi Bassi, per scoprire alla fine che è tutta una messa in scena, una partita gigantesca basata su un imbroglio. Non c’è nessuna guerra per il petrolio, non è vero che è stato abbattuto l’aereo del dittatore, gli americani vanno a braccetto con gli absurdistani, le bombe cadono in maniera strategica, i morti sono danni collaterali, anche l’amico di Miša che ci ha rimesso la pelle- bisognava fare in modo che il mondo distogliesse l’attenzione da quel ragazzo morto durante il G8 a Genova!
E il povero grosso e grasso Miša, che forse è stato
molestato dall’Amato Babbo, forse è stato ipernutrito dalla mamma per distrarre
le attenzioni del Babbo, che è stato tradito dalla sua Rouenna (con uno
scrittore che si chiama quasi come l’autore stesso), si trova a desiderare che
il mondo sia un posto migliore.
Abbiamo parlato con Gary Shteyngart del suo romanzo e di
che cosa significhi essere uno scrittore ebreo russo americano..
Miša Vainberg, il
protagonista del suo romanzo, è di dimensioni enormi: era un punto importante
per l’elemento ironico e grottesco della storia?
Sì, l’elemento ironico è essenziale- viviamo in
un tempo in cui è quasi inconcepibile essere grotteschi, molti personaggi dei
romanzi sono spesso dei tipi hollywoodiani o vengono trasformati per esserlo;
io volevo creare un eroe attraente ma gigantesco, e non solo nel corpo ma anche
nella maniera in cui vede il mondo. Miša
vede il mondo come qualcosa da mangiare, nel libro mangia tutto, dalle idee
politiche al caviale. Volevo che diventasse sempre più grande. D’altra parte
c’è una vasta tradizione di eroi sempre più grassi- e sia la Russia sia l’America sono
due nazioni smisurate; pensiamo a Oblomov di Gončarov e al protagonista della
“Banda di idioti” di John Kennedy Toole, che è la versione americana dell’uomo
che non si muove, come Oblomov. L’essere sovrappeso può anche, in parte,
simbolizzare il consumismo che inizia negli Stati Uniti ma ha trovato terreno
fertile in Russia. A San Pietroburgo c’è un aeroporto che sembra appartenere al
secolo XIX e, vicino, ci sono i concessionari della BMW e della Volkswagen che
sono in edifici più grandi dell’aeroporto: questo è il consumismo e il declino
della società.
Lei è emigrato
negli Stati Uniti da Leningrado quando aveva 7 anni- a proposito, come è stato
possibile per la sua famiglia emigrare?- e Miša è intrappolato in Russia dopo
esservi tornato per far visita al padre: si sentirebbe come lui al suo posto?
La mia famiglia
è emigrata nel 1979, quando un gran numero di ebrei è stato usato da Brežnev
come merce di scambio per il frumento. C’è stata una grossa emigrazione, circa
100.000 ebrei sono usciti dalla Russia, passando dall’Austria prima di arrivare
a New York. Sono tornato in Russia per la prima volta nel 1988 e ho provato
qualcosa di strano- mi è venuta la paura che non mi lasciassero più uscire:
avevo il visto sbagliato, non avevo i timbri giusti. In Russia tutti i problemi
si risolvono con 100 dollari ma ho pensato, ‘ e se mi trattenessero qui?’. Poi,
ero all’aeroporto e indossavo un cappello simile a quello di Miša sulla copertina del libro e me lo hanno
tolto di testa per perlustrarne l’interno alla ricerca di diamanti: come Miša
ho avuto il terrore di essere intrappolato per sempre.
Come Miša, Lei è ebreo e russo ed ora è
americano: che peso ha ognuna di queste componenti sul suo essere quello che è?
L’essere ebreo
ha una grande importanza culturale per me: ho frequentato la yeshiva, che è la
scuola religiosa, anche se con conseguenze negative perché non sono praticante,
ma la cultura letteraria in America sarebbe inconcepibile, sarebbe decisamente
diversa se non fosse per la presenza dei due Roth, di Bellow, di Richler, e
della componente dell’umorismo ebraico. La parte di me che è russa ha a che
fare con la lingua: nei miei momenti più felici ritorno nella mia mente al
russo. A casa mia si è sempre parlato russo, si parla tuttora russo e sono
stato allevato nel tesoro della letteratura e della lingua russe. Come
conseguenza c’era questa differenza abissale tra ‘casa’ e ‘fuori casa’: prima
di tutto a casa non avevamo la televisione e fuori di casa tutti parlavano
sempre di quello che vedevano alla televisione. Per quello che riguarda il mio
io americano, be’, vivo a New York e non capisco che cosa succede nel resto del
paese: sì, posso andare a San Francisco, che ricorda New York, ma la maggior parte
degli Stati Uniti sono per me un paese straniero. A New York mi sento a casa;
la bellezza di New York è che tutti quelli che ci abitano vengono da altre
parti. Non è difficile combinare le mie tre identità, basta non pensarci.
Quando torno in Russia, prima di tutto sono un ebreo, a New York sono un
newyorkese, io mi sento un ebreo russo. Quando ero in Italia nel 2003, era
meglio essere riconosciuto come uno scrittore russo piuttosto che americano.
Adesso neppure agli scrittori americani piace essere americani: è come se
l’idea di essere americano fosse stata “dirottata a forza” dal governo.
Da un lato il
pericolo di essere un ebreo russo emigrato in America è quello di sentirsi
senza radici; dall’altro pensa che questa mancanza di radici sia positiva perché
le dà un distacco che è necessario per avere una visione oggettiva sia della
Russia sia degli Stati Uniti?
Sì, proprio
così, giustissimo. Dopo l’11 settembre in America c’è stata una rinascita di
letteratura di immigrazione, soprattutto di scrittori originari dell’India,
come Kiran Desai o Mohsin Hamid. Tutti questi scrittori possono dire
all’America quello che è, quando gli americani non lo sanno, proprio per quel
senso di appartenere e non appartenere. Il romanzo di immigrazione è diventato
globale- ormai la maggior parte degli immigranti non si allontana più
definitivamente dal paese di origine, come avveniva una volta. La maggior parte
può prendere un aereo e tornare in patria, a Mosca o a Bombay: la vita non è
solo negli Stati Uniti. Questa possibilità del ritorno ha cambiato
profondamente la letteratura.
Ha detto che è
tornato e torna spesso in Russia: come vive la gente questi tempi di
cambiamento? Rimpiangono qualcosa del passato?
La mia tesi è che
ci possono essere dei tempi di difficoltà economiche ma le cose sono sempre le
stesse, sia che ci sia lo zar o Lenin o Putin. Naturalmente ci sono stati
tantissimi che sono stati uccisi sotto Stalin ma la filosofia del governo è la
stessa: c’è una classe d’élite molto ristretta e poi ci sono tutti gli altri.
Le cose possono migliorare economicamente ma il destino del popolo russo sarà
sempre nelle mani di pochi o addirittura di una sola persona.
Il suo Absurdistan
è collocato in un’area geografica di uno degli stati dell’ex Unione Sovietica:
poteva anche essere messo in qualunque altra area?
Sì, prima di
scrivere il romanzo parlavo con uno scrittore di Sarajevo mio amico e cercavo
di spiegargli che l’inimicizia delle due fazioni in guerra si basava
sull’inclinazione del poggiapiedi di Cristo e lui era d’accordo, diceva che
oggigiorno si può uccidere anche per un pollo. Se non fosse per l’atmosfera,
Absurdistan potrebbe essere ovunque. Alcuni critici in America hanno scritto
che l’Absurdistan è l’America stessa, dopo l’effetto polarizzante di Bush,
divisa tra la costa e il centro. Penso che le differenze tra la gente della
costa e quella del centro degli Stati Uniti siano maggiori di quelle tra la Norvegia e la Spagna.
Nel romanzo c’è
anche un altro personaggio che è chiaramente una caricatura di lei stesso,
perché ha un nome che è solo leggermente diverso dal suo e ha scritto un libro
con un titolo che è quasi uguale a quello del suo primo romanzo: il professor
Shteynfarb e Miša sono entrambi, in qualche modo, il suo doppio?
Questa è una bella
maniera di porre la questione: gli scrittori sono forzati a scrivere in maniera
autobiografica perché esplorano il mondo. Il protagonista si frammenta: c’è di
me sia in Miša sia in Shteynfarb e con quest’ultimo volevo anche trovare una
maniera di criticare l’impulso dello scrittore di scrivere di sé- anche Philip
Roth ha un alter ego nel personaggio di Zuckerman, che è così simile a lui in
modo molto buffo.
Alla fine l’Amato
Babbo risulta essere un po’ troppo e indebitamente amante del figlio: è questa
la lezione del mondo, che tutti e tutto ti deludono, padre e amante e Stato?
Penso che se c’è
una lezione nel romanzo è che in Russia lo Stato è terribile e la famiglia
offre un rifugio dallo Stato- il che avviene ovunque lo Stato sia così
tremendo. La domanda è: e se sia lo Stato sia la famiglia vengono a mancare? Se
lo Stato continua a fallire e manca la formazione di una comunità civile,
questo ha effetto anche sull’individuo? E’ come un circolo chiuso, il pubblico
e il privato sono come il serpente che si mangia la coda. La tragedia russa è
che lì la società non ha mai funzionato, basta pensare che in Russia c’era la
schiavitù ma erano i russi stessi ad essere schiavi. D’altra parte ricordiamo
che Stalin veniva chiamato Amato Babbo…
Il tono del romanzo
è satirico e ironico: userà lo stesso stile, per così dire swiftiano, nel suo
nuovo romanzo?
Sì e no- io sono
uno scrittore satirico e non posso variare di molto il mio tono. Tuttavia il
prossimo libro sarà una storia d’amore insieme al crollo degli Stati Uniti in
un tempo futuro. Sarà satira mescolata a sentimento personale.
recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos
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